La direttiva emessa a inizio settimana dalla nuova amministrazione Trump sul congelamento di virtualmente tutte le spese federali ha gettato letteralmente nel caos le amministrazioni pubbliche degli Stati Uniti e le società private che operano con il sostegno di finanziamenti governativi. Il “memorandum”, che fa riferimento alla raffica di decreti presidenziali firmati dal neo-presidente nelle ore immediatamente successive al suo insediamento, è stato per ora sospeso da un giudice federale in conseguenza di una denuncia presentata da alcune organizzazioni non-profit. L’iniziativa minaccia comunque di alterare, con effetti politici ed economici potenzialmente devastanti, la prassi legata agli stanziamenti di fondi federali, regolata dalla stessa Costituzione americana e da una consolidata legge del Congresso risalente all’era Nixon.

Trump ha dato ordine nella giornata di lunedì al direttore pro-tempore dell’Ufficio per il Bilancio (OMB), Matthew Vaeth, di comunicare a tutte le agenzie federali di bloccare pagamenti ed esborsi di fondi relativi a programmi domestici e internazionali che potrebbero essere impattati dai decreti presidenziali promulgati la scorsa settimana. In particolare, la mannaia di Trump si abbatte sulle politiche che favoriscono l’inclusione di genere (DEI) e quelle legate al cambiamento climatico, su cui la precedente amministrazione democratica aveva puntato per dare una patina di progressismo alle proprie azioni.

Nonostante i limiti così circoscritti del “memorandum”, la decisione di Trump ha gettato nel panico praticamente tutta la macchina federale, con amministratori locali, funzionari pubblici, dirigenti di ONG e aziende private incerti se continuare ad autorizzare o utilizzare fondi governativi che potrebbero diventare illegali. Altri ancora si sono ritrovati improvvisamente a dubitare del futuro stanziamento di denaro pubblico approvato per finanziare progetti programmati o già avviati.

Un elenco dei servizi interessati sarebbe lunghissimo. Per dare l’idea dell’impatto anche sulla vita di milioni di americani del blocco di spesa deciso da Trump, basti citare i sussidi destinati ai redditi più bassi per casa e cibo, l’assistenza sanitaria tramite i piani pubblici Medicare e Medicaid, i finanziamenti agevolati e le borse di studio per gli studenti universitari, i programmi destinati alla prevenzione degli incendi e a combattere la siccità o all’assistenza delle comunità delle minoranze indigene, nonché la ricerca scientifica in genere. L’assenza di direttive precise da parte dell’amministrazione repubblicana ha in definitiva generato la più totale confusione e, per alcune ore, sollevato la minaccia di una sospensione a tappeto delle spese federali.

Come già accennato, pochi minuti prima dell’entrata in vigore della direttiva, la giudice distrettuale Loren AliKhan ha emesso un’ingiunzione annullandone gli effetti fino al 3 febbraio, in attesa che le denunce presentate da più parti facciano il loro corso. Nell’odine di sospensione si legge che il “memorandum” di Trump potrebbe causare “danni irreparabili”, privando “cittadini e [intere] comunità di servizi vitali”. A poco è servito il chiarimento della portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, la quale ha precisato martedì che il provvedimento non tocca l’assistenza rivolta direttamente ai singoli americani, sia quella relativa alle pensioni, all’assicurazione sanitaria o ad altri servizi di welfare.

Il fatto che svariate centinaia di miliardi di dollari rischino di essere congelati con una semplice firma dell’inquilino della Casa Bianca non mette solo a rischio, come spiegato, una lunga lista di servizi pubblici essenziali, ma minaccia il principio costituzionale che negli Stati Uniti assegna al Congresso, non al presidente, il “potere di spesa”. L’autorità di stanziare e decidere i beneficiari dei fondi federali spetta al potere legislativo, così che la decisione di Trump risulta totalmente illegale, tanto che l’Ufficio del Bilancio, nell’emettere il “memorandum” in questione, ha omesso inevitabilmente di citare un qualsiasi riferimento di legge alla base di una decisione quasi senza precedenti. Alla base c’è in sostanza la volontà di assumere pieni poteri e di tagliare selvaggiamente la spesa pubblica nell’ottica di politiche interamente orientate a favore dell’oligarchia finanziaria che controlla il potere negli Stati Uniti.

La facoltà del presidente di bloccare determinati stanziamenti del Congresso, prevista entro certi limiti, era stata di fatto cancellata da una legge del 1974 (“Impoundment Control Act”) in risposta all’abuso che ne aveva fatto il presidente Nixon in merito a fondi per programmi a cui si era detto contrario. Questo intervento legislativo metteva chiarezza sui limiti delle competenze tra Congresso e presidente, stabilendo la preminenza del primo in materia di spesa. Trump non riconosce invece la legittimità di questa legge e, come aveva già tentato durante il suo primo mandato, punta ad arrogarsi questo potere nel quadro di quella che appare a tutti gli effetti come la creazione di un’impalcatura autoritaria solo dopo pochi giorni dal suo insediamento.

È del tutto possibile che la decisione di firmare un decreto incostituzionale sia stata presa in modo deliberato dalla nuova amministrazione. Come è già accaduto con il tentativo di cancellare un altro principio garantito dalla Costituzione USA come lo ius soli o con i primi passi per impiegare l’esercito sul territorio americano con funzioni di ordine pubblico citando la presunta emergenza dell’immigrazione clandestina, l’obiettivo di Trump è precisamente di innescare battaglie legali che portino in ultima istanza alla Corte Suprema. Qui, per dirimere le contese a proprio favore, il neo-presidente può contare su una solida maggioranza di giudici di estrema destra, tre dei quali nominati da lui stesso durante il primo mandato, come minimo disposti a valutare la possibilità di dare il via libera al conferimento nelle mani dell’esecutivo di poteri virtualmente senza limiti.

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