Ormai, in attesa di capire quanto di quello che dice sarà in grado di fare, Trump ha edotto il mondo intero circa la sua modalità di comunicazione. Ogni frase inizia con una promessa e finisce con una minaccia. Tra le due locuzioni non c’è null’altro che non sia una verbosità sguaiata e cafona che di per sé rappresenta bene la cifra del personaggio. Nell’occasione del Foro di Davos, evento annuale dove i big della politica incontrano quelli dell’economia per ribadirgli la loro genuflessione finanziaria ed ideologica, l’intervento video del neopresidente USA ha avuto come bersagli i paesi del Golfo Persico e l’Europa.

I primi sono stati accusati di non aver aumentato la produzione del greggio e di averne generato così un aumento dei costi al barile; la seconda di uno squilibrio nella bilancia commerciale con gli USA che andrà ripianato o volontariamente (portando le aziende europee negli USA)  o con la forza (dazi e sanzioni). Va detto che l’idea di superare la quota di petrolio russo con una maggior quota di quello arabo non avrebbe funzionato comunque, ma il fatto è che ad un Occidente che vuole la fine del fossile e l’economia green non si capisce perché mai i paesi del Golfo dovrebbero aderire, a meno di non voler suicidarsi. Vedremo ora con il cambio d’indirizzo degli USA cosa succederà. Quanto all’Europa, le minacce appaiono poco produttive, dal momento che possono generare un effetto boomerang nel caso l’Europa si ricordasse di essere un continente e non un territorio USA d’Oltremare.

Sì perché la UE, con i suoi 450 milioni di abitanti a reddito elevato, rappresenta il più ricco mercato al mondo, un bacino di consumi al quale nessun Paese e nessun governante può rinunciare, nemmeno Trump. Nel 2023, ad esempio, gli scambi commerciali di merci e servizi tra Usa e Ue sono stati pari a 1.540 miliardi di euro: quasi il 30% del commercio globale. Trump accusa una presunta posizione di vantaggio dell’Europa perché la Ue ha esportato verso gli Stati Uniti beni per 502,3 miliardi di euro e ne ha importati per 346,5, quindi con un saldo negativo per gli Usa di quasi 156 miliardi.

Se però si considera l’interscambio di servizi (trasporti, assicurazioni, royalties e tutto ciò che riguarda lo scambio di know-how), la fotografia è rovesciata: l’export degli europei è stato di 292,4 miliardi di euro e l’import di 396,4 miliardi, quindi con un deficit commerciale europeo di 104 miliardi.

Va inoltre considerato il fatto che secondo la Camera di Commercio americana (AmCham), le filiali europee in America e le filiali americane nella Ue impiegano circa dieci milioni di persone. Difficile definirlo un dato irrilevante. È dunque difficile pensare che Trump possa affossare la relazione transatlantica. L’intero sistema, con le banche di Wall Street, le multinazionali, le Big Tech e l’industria energetica e agricola, non vogliono una rottura con Bruxelles.

Ma ciò non toglie che le minacce di dazi e sanzioni che Trump propina all’Europa vanno prese sul serio, dal momento che il tycoon ha come unico orizzonte strategico quello del denaro e considerando che la UE è continente con una prevalente propensione all’export. Trump potrebbe porre dazi alla Francia, alla Germania, all’Italia ed alla Spagna che coinvolgerebbero il mercato dei prodotti alimentari, del automotive e del lusso, incidendo negativamente sul PIL europeo. Il quale, dato già in proiezione su una crescita minima – 1,1 nel 2025 e 1 nel 2026 - colpito dai nuovi dazi vedrebbe una recessione europea dagli effetti devastanti sul piano delle già scarsissime politiche sociali e offrirebbe la spinta ulteriore alle destre europee. Le quali avrebbero in Trump un modello politico e con il quale la trattativa sulla gerarchia del potere internazionale non vedrebbe discussioni di sorta, dal momento che la fedeltà assoluta a Washington è principio ispiratore anche delle destre e non solo dei centrosinistri europei.

 

I servi muti

La reazione europea per ora è di totale silenzio, seppure alcuni esponenti della Commissione Europea hanno affermato che il rischio maggiore di una guerra commerciale sarebbe il deterioramento politico ed economico della «arteria chiave dell’economia del mondo».

Ove sorgesse un minimo di dignità, l’Unione Europea potrebbe agire sulla leva finanziaria in maniera seria: gli europei risparmiano molto e la disponibilità di denaro da investire in imprese, innovazione tecnologica e startup, è potenzialmente più alta di quella creata al proprio interno dagli Stati Uniti (il 13% contro il 33% Ue). Il problema è che buona parte di questi capitali, circa 250 miliardi, volano ogni anno negli Stati Uniti, dove le opportunità sono maggiori grazie alla vastità del suo mercato finanziario, perché la UE, con 27 mercati finanziari ognuno con regole diverse, non è abbastanza attraente.

E dato che sarebbe impossibile pareggiare l’attrattività statunitense per la finanza speculativa, non avrebbe senso creare un mercato unico europeo dei capitali, finora impedito dalle politiche nazionali. Se si volesse reagire con efficacia si dovrebbe incidere proprio su questa asimmetria e sarebbe bene varare una legge che impedisse il trasferimento del risparmio fuori dai paesi in cui ha origine, ampliando ed adeguando le norme già esistenti che limitano la fuga dei capitali. Se ciò succedesse, se gli investitori istituzionali e privati fossero costretti ad investire il loro risparmio in Europa, il contraccolpo per le banche e l’economia statunitense sarebbe notevole e l’Europa disegnerebbe un diverso equilibrio nella gestione dei capitali.

Le fanfaronate di Trump servono a costruire l’identità politica del nuovo Reich in lingua inglese, una riproposizione dell’idea di un Paese che, per destino divino o per una immaginifica e furbetta delega ricevuta direttamente da dio, è destinato a comandare sul mondo. L’ormai vetusta ragione di fondo del Diritto Internazionale che prevede l’uguaglianza tra le nazioni, viene superata da un rafforzamento dall’eccezionalismo americano ribadito a più riprese, che altro non è se non l’estensione planetaria della Dottrina Monroe.

C’è poi da considerare l’aspetto geopolitico e militare che non consente il bullismo yankee. L’idea di fondo alla Casa Bianca è quella di far assumere sugli europei i costi maggiori della NATO, aumentando così i profitti del complesso militar-industriale statunitense. Ciò però comporterebbe dei problemi di bilancio serissimi per i paesi europei, che potrebbero dover negare l’aumento delle spese per la NATO. Qui davvero Trump e i suoi funzionari baltici andrebbero in sofferenza. si troverebbe in seria difficoltà, con il Pentagono prima che con la Silicon Valley o gli elettori.

La forsennata campagna degli esponenti baltici e polacchi, nostalgici degli anni ’30 e non per caso sostenuti dai tedeschi e dal segretario generale della NATO Rutte, che invocano la fine delle spese sociali e lo spostamento delle risorse alla spesa militare, non è così facile da concretizzarsi. Perché lo spostamento di bilancio avvenisse, bisognerebbe prima rivedere i criteri di Maastricht su cui si regge l’economia UE, i conti pubblici dei paesi fondatori non consentirebbero il triplicarsi della spesa in armi e il ricorso ad un debito europeo come proposto dal Rapporto Draghi offre ipotesi che risultano incompatibili con il rapporto debito/PIL previsto al 3%.

Dunque se la UE non aderisse al diktat o vi aderisse solo in parte, Trump che farebbe? Ammonirebbe i paesi che non obbediscono o li ritirerebbe dall’Organizzazione Atlantica? Certo che no, non può permetterselo al netto delle fanfaronate. Una riduzione del livello numerico e qualitativo dell’Organizzazione Atlantica comporterebbe giganteschi problemi agli Stati Uniti, per i quali il rafforzamento della NATO è vitale, dato che è lo strumento principale della difesa statunitense. Solo gli ingenui o gli interessati possono ancora sostenere che siano gli USA a difendere il mondo occidentale quando è palese il contrario.

Insomma sono diversi i temi sui quali il bullo dai capelli color carota troverà difficoltà serie nel mettere in pratica le sue fanfaronate. Ma l’Europa, ridotta ormai al ruolo di portatore d’acqua degli interessi USA, costretta all’obbedienza silenziosa non potrà che prendere atto della fine prematura quanto ingloriosa della sua breve storia federativa. A Donald Trump, che parla come se fosse l’imperatore della terra e non il rappresentante maggioritario di solo il 5% della popolazione globale, bisogna almeno dare atto di aver chiuso la stagione dell’ipocrisia dell’”ingerenza umanitaria”, dei “diritti umani” e della “democrazia” contro l’”autarchia” per consegnare al mondo la sostanza vera del dominio unipolare a guida USA, le famose “regole”: il saccheggio dei beni di tutti e della altrui ricchezza con un Occidente a dominare il mondo e, allo stesso tempo, il dominio dell’Occidente da parte degli Stati Uniti.

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