Il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato nei giorni scorsi l'intenzione di eliminare il diritto di cittadinanza per nascita (“ius soli”), sancito dalla Sezione 1 del Quattordicesimo Emendamento della Costituzione americana, attraverso un ordine esecutivo già nei primi giorni del suo secondo mandato alla Casa Bianca. Questa mossa rappresenterebbe un intervento senza precedenti, destinato a scatenare accesi dibattiti politici e battaglie legali. Il Quattordicesimo Emendamento, adottato nel 1868, garantisce la cittadinanza a tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti, stabilendo un principio fondamentale di uguaglianza giuridica e respingendo discriminazioni storiche, come ad esempio quelle sancite dalla famigerata decisione della Corte Suprema USA nel caso Dred Scott v. Sandford del 1857.

Trump ha descritto il principio della cittadinanza per nascita come "ridicolo" e ha ribadito il suo impegno a contrastare quella che definisce "migrazione a catena". Secondo fonti interne alla nascente amministrazione, il piano prevede che la cittadinanza venga concessa solo a bambini con almeno un genitore cittadino statunitense o residente legale permanente. Tuttavia, esperti costituzionali sottolineano che un cambiamento così radicale richiederebbe una modifica costituzionale, piuttosto che un semplice ordine esecutivo, che solleverebbe quanto meno seri interrogativi sulla separazione dei poteri e sul rispetto del quadro legale federale.

L’idea di eliminare il diritto di cittadinanza per nascita non è solo una questione di immigrazione, ma un attacco diretto a uno dei pilastri fondanti della già declinante democrazia statunitense. Il Quattordicesimo Emendamento, adottato dopo la Guerra Civile, ha rappresentato una rottura epocale rispetto al passato, affermando il principio universale secondo cui ogni individuo nato sul territorio americano gode automaticamente della piena cittadinanza. Questo emendamento, insieme al Tredicesimo e al Quindicesimo, fa parte dei cosiddetti “Civil War Amendments” che non solo hanno abolito la schiavitù e garantito il diritto di voto agli afroamericani, ma hanno anche stabilito un nuovo paradigma di uguaglianza. Nello specifico, il suo scopo era di impedire che, dopo la Guerra Civile, fosse negata la cittadinanza ai figli degli ex schiavi. La sua adozione ha segnato così un momento cruciale nel processo di consolidamento dei diritti civili e democratici negli Stati Uniti, facendo della cittadinanza un diritto inalienabile.

La minaccia di Trump di cancellare lo ius soli, pertanto, non può essere vista come un semplice atto amministrativo o come una risposta all’immigrazione irregolare. Essa rappresenta un tentativo di smantellare le conquiste storiche della lotta per i diritti civili, un attacco “controrivoluzionario” all’uguaglianza di tutti i cittadini sancita dalla Costituzione. Come evidenziato da studiosi e attivisti, eliminare la cittadinanza per nascita non solo creerebbe una classe di apolidi privati dei loro diritti fondamentali, ma minerebbe i principi su cui, almeno formalmente, si fonda la democrazia americana.

L’intenzione di eliminare lo ius soli negli Stati Uniti tramite ordine esecutivo è stata espressa da Trump nel corso di una recente intervista al programma “Meet the Press” della NBC. Il neo-presidente ha affermato che la misura sarebbe una priorità del suo secondo mandato, dichiarando che “siamo l’unico paese che prevede” questo diritto. Un’affermazione, quest’ultima, smentita dal fatto che oltre 30 paesi, inclusi stati come il Canada e Israele, garantiscono la cittadinanza per nascita. A suo parere, in ogni caso, la legge dovrebbe impedire ai figli di immigrati irregolari di ottenere automaticamente la cittadinanza americana.

Trump ha inoltre spiegato che la sua iniziativa si inserisce in un piano più ampio per rafforzare la sicurezza dei confini e contrastare l’immigrazione irregolare. Ha insistito che i primi provvedimenti riguarderebbero la deportazione di criminali, ma ha aggiunto che le famiglie con membri in situazione di irregolarità verrebbero mantenute unite solo per essere deportate nella loro interezza.

L’iniziativa di Donald Trump per abolire lo ius soli rappresenterebbe anche un pericoloso ampliamento dei poteri dell’esecutivo, capace di erodere l’equilibrio tra i poteri dello Stato. Con l’intenzione di bypassare il processo legislativo tradizionale e modificare di fatto la Costituzione attraverso un decreto presidenziale, Trump si posiziona in aperta violazione del principio della separazione dei poteri, una pietra angolare del sistema democratico statunitense, anche se già abbondantemente eroso negli ultimi decenni. Come sottolineato da esperti costituzionalisti, nessun presidente ha mai rivendicato il potere di modificare unilateralmente una clausola così fondamentale come quella sancita dal Quattordicesimo Emendamento. Un simile atto creerebbe un pericoloso precedente, aprendo la strada a una centralizzazione ancora maggiore del potere nell’ufficio presidenziale.

Questa tendenza non è peraltro nuova per Trump, il quale durante il suo primo mandato aveva già dimostrato disprezzo per le norme costituzionali, come nel caso dell’uso arbitrario di fondi federali per costruire il muro al confine con il Messico, bypassando il Congresso. Più recentemente, la Corte Suprema ha concesso un’ampia immunità ai presidenti per azioni commesse durante l’esercizio delle proprie funzioni. Una decisione che ha fatto aumentare le preoccupazioni per una deriva autoritaria. La proposta di abolire lo ius soli, con la sua implicazione di poter decidere chi è cittadino e chi non lo è tramite decreto, rappresenta un passo ulteriore verso la concentrazione del potere esecutivo. Le conseguenze potrebbero essere devastanti, non solo per i diritti degli immigrati, ma per l’intero sistema democratico statunitense, che rischia di trasformarsi definitivamente in un modello di governo autoritario mascherato da repubblica costituzionale.

L'abolizione dello ius soli avrebbe effetti rovinosi per milioni di persone, in particolare i figli nati negli Stati Uniti da genitori senza documenti. Attualmente, si stima che siano circa 5,5 milioni i nati negli USA che vivono in famiglie con almeno un genitore irregolare. Togliere loro la cittadinanza li esporrebbe a condizioni di estrema insicurezza e, molto spesso, povertà, perché privati di servizi essenziali come assistenza sanitaria, educazione e protezioni legali fondamentali. Inoltre, molti di loro rischierebbero di diventare apolidi, con conseguenze dirompenti non solo sulla loro vita ma anche sull’economia e la stabilità sociale degli Stati Uniti. Le famiglie "miste" — dove convivono cittadini e non — rappresentano una parte significativa del tessuto sociale americano e la perdita dello status legale per un membro causerebbe la frammentazione di queste unità familiari e aumenterebbe i livelli di povertà in una fascia di popolazione già molto fragile.

Queste misure non colpirebbero solo gli immigrati, ma metterebbero in pericolo l’idea stessa di cittadinanza come diritto garantito dalla nascita, favorendo l’emergere di una classe di cittadini di “secondo livello”. Di conseguenza, gli Stati Uniti potrebbero trovarsi di fronte a una crisi umanitaria e politica di proporzioni senza precedenti.

Le prospettive legali dell'iniziativa di Trump di abolire lo ius soli attraverso un ordine esecutivo sono al centro infine di una questione costituzionale critica. Come già anticipato, l'azione violerebbe apertamente il testo della Sezione 1 del Quattordicesimo Emendamento. Anche se l'ordine esecutivo potrebbe entrare in vigore rapidamente, è quasi certo che incontrerebbe un'ondata di cause legali, portando a una lunga battaglia nei tribunali federali. Già in passato, simili tentativi di modificare leggi fondamentali tramite decreti presidenziali sono stati temporaneamente bloccati dai tribunali di grado inferiore, che ne hanno rallentato l'applicazione.

Tuttavia, il panorama giuridico attuale è profondamente influenzato dalla Corte Suprema, la cui maggioranza conservatrice — rafforzata durante l'amministrazione Trump — sembra incline a favorire le posizioni della destra reazionaria. La Corte, negli ultimi anni, ha mostrato una disponibilità crescente a reinterpretare principi costituzionali consolidati, così da legittimare espansioni significative del potere esecutivo. È quindi plausibile che, alla fine del percorso legale, una sentenza favorevole possa avallare l'iniziativa e determinare una svolta storica nella giurisprudenza statunitense.

Se confermata, questa decisione segnerebbe un pericolosissimo precedente, aprendo la strada a ulteriori attacchi ai diritti costituzionali. La fragilità delle istituzioni democratiche degli Stati Uniti sarebbe ulteriormente esposta, con il rischio che il principio di uguaglianza sancito dal Quattordicesimo Emendamento venga eroso in favore di una politica di esclusione. La lotta contro queste derive autoritarie richiederebbe un ampio fronte di opposizione sociale e politica, in grado di difendere i principi democratici e i diritti fondamentali di ogni individuo, ma l’interesse del Partito Democratico americano sembra essere invece focalizzato sugli sforzi per garantire un trasferimento del potere indolore e per fare in modo che le politiche di guerra degli ultimi anni proseguano senza interruzione con la nuova amministrazione repubblicana.

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