La Georgia è al centro di una nuova ondata di proteste e tensioni politiche dopo la decisione del governo di sospendere le trattative per l'adesione all'Unione Europea fino al 2028. La scelta, comunicata lo scorso 28 novembre, ha scatenato violente manifestazioni nella capitale Tbilisi e in altre città. Gruppi di manifestanti, prevalentemente studenti e giovani, hanno eretto barricate e affrontato le forze dell’ordine con molotov e fuochi d’artificio. La polizia ha risposto con arresti massicci e misure di sicurezza rafforzate. A peggiorare la situazione, la presidente Salomé Zourabishvili ha fatto un appello controverso affinché anche i minori si uniscano alle proteste, mossa vista come un tentativo disperato di ampliare la base dei manifestanti.

Il governo, guidato dal primo ministro Irakli Kobakhidze e dal suo partito Sogno Georgiano, ha giustificato la sospensione delle trattative europee come necessaria per difendere la sovranità del paese di fronte a interferenze esterne, accusando l'Occidente di voler trasformare la Georgia in un nuovo campo di battaglia geopolitico, simile all'Ucraina. L’opposizione e i suoi sponsor stranieri sostengono che questa decisione rappresenti invece un allontanamento irreversibile dall'Occidente e un ritorno sotto la sfera d'influenza russa.

Le tensioni attuali si inseriscono in un quadro di rivalità geopolitiche e manipolazioni interne. La Georgia, crocevia strategico tra Europa e Asia, ha vissuto un momento cruciale già lo scorso anno, con il dibattito e la successiva crisi politica attorno alla legge contro le “interferenze estere”. Inizialmente ritirata sotto la pressione delle proteste di piazza fomentate dall’Occidente, la proposta è diventata legge lo scorso mese di maggio. USA ed Europa hanno poi provato a rilanciare il tentativo di “rivoluzione colorata” in occasione delle elezioni parlamentari di fine ottobre, nelle quali il partito di governo ha ottenuto una maggioranza molto netta.

L’insistenza occidentale nel cercare di destabilizzare il governo di Tbilisi è facilmente spiegabile. Nel recente passato, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno investito massicciamente in Georgia, fornendo “aiuti” per oltre 6,2 miliardi di dollari dal 1992. Anche se questo sforzo è stato presentato come un contributo allo sviluppo democratico del paese caucasico, le ragioni sono evidentemente altre. La Georgia rappresenta infatti un tassello fondamentale nella strategia occidentale per il controllo del Mar Nero e del Caucaso, in opposizione alla crescente influenza russa e cinese nella regione. Il paese è anche un importante corridoio per il transito energetico che collega il Mar Caspio ai mercati europei, bypassando la Russia.

Il governo di Sogno Georgiano non può essere comunque definito “filo-russo” nel senso stretto del termine. Piuttosto, ha cercato di mantenere una politica estera equilibrata, resistendo alle pressioni per allinearsi completamente all'Occidente. Pressioni aumentate vertiginosamente dopo lo scoppio della crisi ucraina, quando l’Europa e gli Stati Uniti hanno visto un’occasione per aprire una sorta di secondo fronte volto a indebolire la Russia e a occupare il suo tradizionale spazio di influenza politica. La posizione equilibrata della Georgia è diventata alla fine insostenibile a causa delle crescenti richieste di adesione alla NATO e all'UE, viste dal governo come un’ingerenza nella sovranità nazionale.

La presidente georgiana, Salomé Zourabishvili ha svolto e sta svolgendo un ruolo chiave nella crisi. Nonostante il suo ruolo istituzionale, si è apertamente schierata con l'opposizione, sostenendo le proteste contro il governo nel quadro di un comportamento al limite del tradimento. Zourabishvili, ex diplomatica francese con posizioni dichiaratamente filo-occidentali, ha alimentato ulteriormente le tensioni politiche nei giorni scorsi, invitando persino i minorenni e tutte le scuole del paese a partecipare alle manifestazioni anti-governative.

La presidente ha inoltre recentemente annunciato la sua intenzione di non lasciare la presidenza alla scadenza del mandato, fissata per il 16 dicembre 2024, a causa di presunte irregolarità nei processi elettorali. Secondo Zourabishvili, il parlamento risultante dalle elezioni di ottobre non è legittimo e, quindi, non è in grado di eleggere il prossimo presidente. Ha affermato perciò che resterà in carica fino a quando non sarà eletto un nuovo parlamento in modo conforme alla legge.

Il governo ha di conseguenza risposto che la presidente dovrà abbandonare il suo incarico dopo il voto del 14 dicembre e l’insediamento del successore il 29 dello stesso mese. In questa occasione, il presidente sarà eletto indirettamente dal parlamento e dai rappresentanti regionali, invece che attraverso il voto popolare diretto, come previsto dalla modifica costituzionale del 2017. La presa di posizione della Zourabishvili prospetta perciò ulteriori tensioni nelle prossime settimane.

Il comportamento della presidente è sostanzialmente in linea con i manuali delle “rivoluzioni colorate”, strategie promosse dagli Stati Uniti per destabilizzare governi considerati ostili o non sufficientemente allineati. La mobilitazione dei giovani e degli studenti, infatti, ricorda gli scenari visti in Ucraina durante l’Euromaidan del 2014 e, prima ancora, nella “Rivoluzione delle Rose” georgiana del 2003.

Il modello eversivo della “rivoluzione colorata” che l’Occidente sta tentando di riproporre in Georgia si inserisce in ogni caso in un contesto radicalmente cambiato. A differenza del 2003, quando il governo di Eduard Shevardnadze era fortemente delegittimato, oggi il Paese gode di una relativa stabilità economica e politica. Inoltre, l’esperienza ucraina ha dimostrato ai georgiani i rischi di un confronto aperto con la Russia, portando molte persone a preferire un approccio più prudente.

Le proteste a Tbilisi riflettono una profonda spaccatura all'interno della società georgiana, che ha implicazioni dirette per la stabilità politica del paese. Gran parte del sostegno alle manifestazioni proviene da ambienti universitari e urbani, particolarmente nella capitale. I giovani e le élite accademiche vedono nell'integrazione europea una possibilità di emancipazione dalla politica interna percepita come corrotta e inefficace. La loro visione contrasta fortemente con quella delle aree rurali e delle città minori, dove il governo gode di un ampio sostegno. Qui prevalgono sentimenti di pragmatismo economico e la preferenza per una neutralità strategica che eviti conflitti diretti con la Russia.

Il radicamento rurale del partito Sogno Georgiano è anche alimentato dalla percezione che l'Occidente, mentre promuove valori democratici, abbia un'agenda nascosta che mina le tradizioni georgiane e destabilizza la regione. Il divario tra città e campagna è quindi un elemento chiave della dinamica politica, amplificato dall'influenza culturale e materiale delle università di Tbilisi, che sono spesso le beneficiarie di fondi e programmi occidentali volti a rafforzare la società civile.

Per la Russia, d’altro canto, mantenere una Georgia neutrale o allineata a Mosca è essenziale a garantire la sicurezza del suo “ventre molle” meridionale. Il Cremlino ha già dimostrato la sua prontezza ad agire nel 2008 con l'invasione della Georgia e il riconoscimento delle repubbliche separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud. Mosca considera quindi le aspirazioni NATO ed europee della Georgia come una minaccia esistenziale, simile all'espansione del Patto Atlantico all’Ucraina.

La crisi georgiana è in definitiva la conseguenza di un conflitto tra sovranità nazionale e pressioni geopolitiche esterne. Il tentativo di destabilizzazione guidato dall’Occidente rischia di trasformare il paese in un nuovo teatro di confronto tra grandi potenze, con conseguenze devastanti per la popolazione locale. Il governo di Sogno Georgiano sembra però determinato a resistere, puntando su una politica di stabilità e indipendenza.

Un altro elemento chiave in questo senso è la memoria delle esperienze regionali. Il governo ha appreso lezioni importanti dai conflitti in Ucraina e Armenia, oltre che dalla stessa Georgia nel 2008. La leadership di Bidzina Ivanishvili, ex primo ministro e vera e propria eminenza grigia del partito di governo, è consapevole che ogni compromesso potrebbe innescare una spirale di eventi che culminerebbe nel collasso del governo, come dimostrano le recenti crisi nei paesi limitrofi. La decisione di sospendere i colloqui di adesione all'Unione Europea riflette questa prudenza, dimostrando una volontà di evitare compromessi immediati in nome di una politica estera più equilibrata, volta a preservare la sovranità del Paese.

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