La controffensiva delle forze governative siriane dopo l’avanzata a sorpresa nei giorni scorsi dei terroristi di Hayat Tahrir al-Sham (HTS ed ex Fronte al-Nusra) e dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA) sembra guadagnare consistenza in questo inizio di settimana grazie al supporto di Russia e Iran. In attesa di rinforzi di terra inviati da Damasco, le forze aeree russe e siriane stanno prendendo di mira postazioni e convogli dei “ribelli” nelle aree rurali della parte meridionale della provincia di Idlib e a ovest di Aleppo. L’intera vicenda ha tutti i connotati di una nuova operazione studiata dagli sponsor più o meno ufficiali delle formazioni jihadiste attive in Siria, con l’obiettivo di destabilizzare questo paese e, sia pure con sfumature diverse, favorire gli interessi strategici di Stati Uniti, Turchia e Israele.

 

L’attacco da più direzioni lanciato a metà della scorsa settimana, secondo alcune fonti citate da vari media, era allo studio da tempo e, in base a quanto scritto dal quotidiano russo Izvestia, è stato coordinato tra le intelligence di Turchia, Ucraina e Francia. Il governo siriano aveva nel recente passato più volte denunciato il contributo del regime di Zelensky ai militanti islamisti ultra-radicali, sia fornendo addestramento sia tramite il trasferimento di armi, droni inclusi. L’operazione, sempre secondo Izvestia, era programmata per il prossimo mese di marzo, ma è stata anticipata alla luce dell’evoluzione dei fatti in Libano.

Attorno alle ragioni dell’attacco jihadista in corso si sta discutendo parecchio sulla stampa mainstream e non solo. Sono in molti a vedere nell’iniziativa dei terroristi di HTS un piano sotto la regia israeliana per cercare di chiudere la Siria come punto di transito delle armi iraniane destinate a Hezbollah. Un nuovo fronte, quello siriano, aperto subito dopo l’entrata in vigore dell’accordo per il cessate il fuoco in Libano, firmato da Netanyahu dopo avere preso atto dell’impossibilità di piegare sul campo le forze del “Partito di Dio”.

I rapporti intercorsi negli anni più caldi della guerra in Siria tra alcuni gruppi terroristici e Israele sono ben documentati ed è evidente che non sono mai venuti meno, vista l’utilità per Tel Aviv di formazioni come HTS per influenzare gli eventi nel paese del presidente Assad. Nel fine settimana, un ex alto ufficiale dell’intelligence militare israeliana ha confermato ai media ebraici questa realtà. Secondo il colonnello Mordechai Kedar, i leader di questi gruppi hanno inoltre rassicurato con messaggi diretti i vertici politici e militari israeliani, addirittura offrendo la normalizzazione delle relazioni con Tel Aviv se dovessero riuscire a controllare la Siria e il Libano.

Altri osservatori hanno evidenziato come i movimenti fulminei di HTS e SNA sarebbero stati impossibili senza la collaborazione della Turchia, quanto meno perché attraverso i suoi confini passa l’unica rotta per fare arrivare armi e altri aiuti ai terroristi dislocati nel nord della Siria. Il ruolo di Erdogan e del suo governo nei fatti di questi giorni è il più dibattuto. Il presidente non è ancora intervenuto pubblicamente, ma il suo ministro degli Esteri, Hakan Fidan, già nella giornata di sabato aveva escluso qualsiasi coinvolgimento della Turchia nelle vicende siriane.

Fonti anonime dell’intelligence turca hanno però ammesso di essere a conoscenza di piani precedenti di questi gruppi terroristici per riconquistare il terreno perso a vantaggio di Damasco negli ultimi anni. L’obiettivo, approvato da Ankara, sarebbe stato di ristabilire gli equilibri territoriali fissati nel 2017 dall’Accordo di Astana tra Turchia, Russia e Iran, che creava aree ben precise di “de-conflitto”, ma che le forze di Assad hanno in seguito parzialmente strappato ai gruppi armati, anche perché Erdogan non ha mai mantenuto l’impegno di liquidare i terroristi presenti.

In realtà, l’avanzata nei giorni scorsi è andata ben oltre queste aree e la spiegazione dell’intelligence turca appare tutto fuorché credibile. Resta da capire quali vantaggi crede di potere ottenere Erdogan dal via libera a questa operazione. Per alcuni vorrebbe alzare le pressioni su Assad dopo che il presidente siriano si era sempre rifiutato di abbandonare la linea dura sulla questione della riconciliazione con Ankara, ovvero chiedendo che la Turchia ritirasse i propri militari dalla Siria prima di aprire una discussione seria.

È possibile e forse più probabile poi che nei calcoli di Erdogan ci sia sempre la questione curda. Le Forze Democratiche Siriane (SDF) a maggioranza curda, e alleate delle forze americane che occupano illegalmente una parte di territorio della Siria, hanno annunciato la loro mobilitazione nei giorni scorsi, ovvero dovrebbero partecipare alle operazioni militari contro i terroristi di HTS e i militanti affiliati alla Turchia, aprendo così potenzialmente l’ennesimo scontro interno alla NATO tra Ankara e Washington nel teatro siriano.

Il gioco di Erdogan rischia in tutti i modi di ritorcersi ancora una volta contro il presidente turco, anche per il rischio che una riesplosione del conflitto oltre il confine meridionale inneschi una nuova crisi umanitaria con l’afflusso di profughi in direzione nord. Per il momento, i canali diplomatici sembrano avere la priorità per far rientrare la crisi. Dall’Iran si parla apertamente delle responsabilità turche, ma il ministro degli Esteri della Repubblica Islamica, Abbas Araghchi, ha incontrato lunedì il suo omologo turco Fidan, mentre a livello pubblico ha accostato l’offensiva dei terroristi a Idlib e Aleppo soltanto al regime sionista.

Buona parte dell’operazione in corso si basa in ogni caso su una calibrata campagna di disinformazione. La sorte di Aleppo è ad esempio oggetto di speculazioni, alimentate dalla circolazione in rete di filmati che ritraggono uomini dei qaedisti di HTS in zone centrali della città che ne confermerebbero il controllo. In molti invitano invece alla prudenza e a non considerare qualsiasi notizia arrivi dai media ufficiali o dai governi che sostengono direttamente o indirettamente i terroristi. Nel fine settimana era infatti circolata la notizia di un colpo di stato militare in corso a Damasco, ma in seguito il presidente Assad è apparso in pubblico assieme al ministro degli Esteri iraniano e le notizie provenienti dalla capitale siriana hanno descritto una città sostanzialmente pacifica.

Che HTS o SNA abbiano la possibilità di far cadere il governo legittimo di Assad o, quanto meno, di tenere Aleppo e altre aree della Siria nord-occidentale per lungo tempo è altamente improbabile. Tuttavia, l’obiettivo degli sponsor di questi gruppi armati non è tanto questo, quanto la destabilizzazione e l’indebolimento della Siria in quanto elemento cruciale per l’Asse della Resistenza, sia dal punto di vista politico che da quello logistico e delle forniture militari.

Resta comunque il dato preoccupante del rapido arretramento delle forze armate governative davanti all’avanzata dei militanti jihadisti. La guerra appena formalmente conclusa in Libano ha comportato l’abbandono forzato della Siria di un certo numero di uomini di Hezbollah, mentre la Russia, oltre a essere concentrata sul fronte ucraino, ha sempre avuto un contingente limitato nel paese mediorientale, basando il proprio sostegno al governo di Assad sulle proprie forze aeree.

Il fattore sorpresa ha indubbiamente pesato sugli eventi dei giorni scorsi, ma la situazione delle forze armate siriane resta problematica e conferma che la tenuta dello stato di fronte alle minacce interne ed esterne dipende in larga misura dagli alleati di Damasco. Voci critiche verso i militari siriani arrivano anche dalla Russia. La testata on-line Vzglyad ha citato nel fine settimana un accademico russo secondo il quale il governo di Assad ha mostrato in questi anni una “totale incapacità” nel riformare l’esercito e nel rimediare alle condizioni precarie in cui esso versa.

Resta il fatto che le responsabilità della crisi che dal 2011 interessa la Siria è totalmente dei governi che, in Occidente e in Medio Oriente, hanno fomentato prima una finta rivoluzione e poi un’opposizione armata condotta da formazioni apertamente terroristiche. La situazione odierna resta confusa e molto delicata, ma sono in pochi a credere che HTS, SNA o altri gruppi dell’opposizione armata possano raggiungere obiettivi che hanno fallito in oltre un decennio di guerra.

Se i rinforzi di Iran, Russia, Hezbollah e Iraq dovessero aiutare a ristabilire l’ordine e il controllo governativo su Aleppo, Hama e parte di Idlib, la crisi in corso potrebbe anzi dare l’opportunità di chiudere i conti definitivamente con la galassia terroristica sponsorizzata dalla Turchia e da altri nella regione. La molto probabile collaborazione di Ankara con le operazioni anti-governative potrebbe d’altra parte squalificare Erdogan come partner credibile nella ricerca di una soluzione diplomatica al “file” siriano. Per non parlare dell’opposizione solo a parole espressa nell’ultimo anno contro il genicidio palestinese, mai fatta seguire da iniziative concrete contro Israele, con cui Erdogan ha tenuto invece in piedi i legami commerciali e, soprattutto, garantito le forniture di petrolio proveniente dall’Azerbaigian.

A influire sullo scenario siriano sarà infine anche la posizione dei regimi arabi sunniti del Golfo Persico. Se dopo il 2011 questi paesi avevano fatto a gara nel finanziare i vari gruppi armati anti-Assad, da qualche anno, ad eccezione almeno in parte del Qatar, si sono decisi a intraprendere la strada della riconciliazione con il governo di Damasco che, in parallelo, è stato riaccolto nel consesso dei paesi arabi. Questi regimi restano altamente influenzabili dall’Occidente e continuano a strizzare l’occhio allo stato ebraico, ma è difficile credere che siano disposti a invertire nuovamente la rotta per scommettere su un cavallo perdente e rischiare di gettare in mare le ristabilite relazioni con Siria e Iran e tutto ciò che questo riallineamento strategico comporta in termini di influenza nella regione mediorientale.

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