L’agenda golpista occidentale in Georgia è scattata puntualmente all’indomani delle attese elezioni di sabato scorso nel paese del Caucaso meridionale. I riferimenti di Europa e Stati Uniti a Tbilisi, cioè la presidente georgiana con passaporto francese Salome Zourabichvili, i partiti di opposizione e le innumerevoli ONG finanziate dall’Occidente, hanno fatto subito scattare la campagna di discredito contro il partito di governo, Sogno Georgiano, accusato senza nessuna prova concreta di avere manipolato il voto che lo ha visto trionfare con circa il 54% dei consensi.

Nella capitale georgiana si è tenuta una manifestazione di protesta nella serata di lunedì, dopo che la presidente Zourabichvili aveva clamorosamente respinto i risultati delle elezioni. Quest’ultima, in un’intervista alla CNN e in altre uscite pubbliche, si era espressa con parole durissime nei confronti della consultazione elettorale, definita tra l’altro una “operazione speciale russa”. Non solo, l’ex diplomatica della repubblica francese aveva lanciato un appello di fatto alle potenze occidentali per intervenire e “correggere” le elezioni. In altre parole, per sollecitare un colpo di stato pilotato dall’Occidente.

Un primo segnale è arrivato martedì, quando la commissione elettorale centrale della Georgia ha ordinato un riconteggio delle schede in cinque seggi selezionati in maniera casuale in ognuno degli 84 distretti elettorali del paese. La decisione è stata presa in seguito alle proteste dell’opposizione filo-occidentale e riguarderà circa il 14% dei seggi aperti sabato scorso durante le operazioni di voto.

Il coro di condanne arrivato dall’Europa e dagli Stati Uniti per le presunte irregolarità, violenze, compravendita di voti e altro che avrebbero segnato la giornata elettorale in Georgia era ampiamente previsto. Questo paese è da tempo nel mirino dei governi occidentali per la sua posizione geografica alla periferia russa e soprattutto dopo che negli ultimi anni i governi guidati da Sogno Georgiano hanno rallentato il processo di integrazione con l’UE e riequilibrato la propria politica estera attraverso la normalizzazione dei rapporti con il Cremlino.

Un processo accentuato in entrambe le direzioni dopo lo scoppio della guerra in Ucraina a inizio 2022. Washington e Bruxelles hanno progressivamente aumentato le pressioni su Tbilisi per rompere i legami con Mosca e, in fin dei conti, aprire una sorta di secondo fronte volto a indebolire la Russia. L’atteggiamento prudente del governo georgiano è dettato in primo luogo da ragioni di carattere strategico, ovvero dalla necessità di evitare la sorte rovinosa toccata all’Ucraina a causa delle manovre occidentali. Inoltre, la Georgia ha subito approfittato delle occasioni economiche e commerciali collegate all’aggiramento delle sanzioni occidentali imposte contro Mosca.

Questa attitudine legittimamente cauta è stata dipinta come una volontà esplicita di sottomettersi ai diktat di Putin, con l’inevitabile corollario, agli occhi dei governi occidentali, della deriva autoritaria sul fronte domestico. L’occasione per dare la spallata al governo del primo ministro, Irakli Kobakhidze, era arrivata in concomitanza con la discussione in parlamento di una legge contro le interferenze straniere. Il provvedimento, alla fine implementato in via definitiva la scorsa estate, obbliga tutte le organizzazioni della società civile che ricevono una certa percentuale dei loro fondi dall’estero a dichiararlo alle autorità competenti, pena l’imposizione di una multa.

Questa legge era stata sfruttata dagli ambienti filo-occidentali georgiani e i loro sponsor esteri per denunciare l’involuzione autoritaria del governo, così come aveva innescato proteste a tratti violente fino a minacciare una nuova “rivoluzione colorata” nel paese caucasico. Nonostante il veto della presidente Zourabichvili, la maggioranza parlamentare di Sogno Georgiano era riuscita a fare approvare la legge, definita fino alla nausea in Occidente come una misura ultra-autoritaria simile a quella in vigore in Russia, ma tralasciando di far notare come fosse stata ispirata in realtà dal cosiddetto “Foreign Agents Registration Act” (FARA) americano del 1938, sia pure in versione più morbida.

Quando le proteste contro questa legge erano rientrare, gli sforzi occidentali si sono concentrati appunto sul voto di sabato scorso. Tutti i sondaggi prospettavano una vittoria del partito di governo, ma la campagna di propaganda per trasformare il voto in una farsa era già pronta ed è scattata non appena sono stati diffusi i risultati preliminari. L’OSCE, con oltre 500 osservatori sul campo, non ha finora riportato sistematiche irregolarità tali da fare sospettare un esito falsato delle elezioni. Singoli episodi sono stati documentati, ma nella maggior parte dei casi non risulta chiaro chi sia stato il potenziale beneficiario di brogli o intimidazioni.

D’altra parte, una recente consultazione elettorale in Moldavia sul possibile ingresso di questo paese nell’UE ha dato risultati altamente sospetti. Con la maggioranza delle schede scrutinate, i voti contrari sembravano avere un solido vantaggio, ma in extremis i favorevoli hanno operato un sorpasso, imponendosi con il più risicato dei margini. In quel caso, com’è ovvio, nessuno in Occidente ha sollevato il minimo sospetto, a conferma del fatto che la legittimità di un’elezione non ha nulla a che fare con la regolarità del processo, quanto piuttosto con l’allineamento dei risultati al volere di USA ed Europa.

Esattamente così è stato anche per la Georgia. L’Occidente sta cercando di imporre un esito predefinito che conduca a un cambio di regime, secondo un copione già sperimentato altrove in molte occasioni, incluso il caso ucraino e la finta rivoluzione di Maidan del 2014. Il voto di sabato ha mostrato come l’appoggio ai partiti di opposizione filo-occidentali, che complessivamente non hanno raggiunto nemmeno il 38% dei consensi, sia limitato per lo più agli elettori urbani maggiormente influenzati, o direttamente sovvenzionati, dalla propaganda europea e americana.

La gran parte del resto del paese caucasico vede perfettamente il futuro che lo attende in caso di ribaltamento più o meno violento degli equilibri politici odierni, soprattutto per via dell’esempio ucraino. Sogno Georgiano è stato in altre parole premiato con la maggioranza assoluta di seggi in parlamento perché si è presentato come il partito della pace, in grado di resistere alle spinte alimentate dall’Occidente a intraprendere la strada dello scontro con Mosca.

In quest’ottica, il partito di governo ha beneficiato anche dei vantaggi derivanti dalla salvaguardia dei rapporti economici con la Russia, ma anche dall’insistenza su valori storici e culturali condivisi con il potente vicino. Recente è infine il ricordo del disastro incontrato dalla Georgia dopo il conflitto del 2008 in Abkhazia e Ossezia del Sud, fomentato anche in quell’occasione dagli Stati Uniti. Uno scenario complessivo, insomma, influenzato in maniera determinante dalla sfiducia diffusa tra la popolazione georgiana verso le prospettive non esattamente esaltanti offerte dalle promesse occidentali di “democrazia” e “prosperità”.

Va comunque sottolineato che il governo di Sogno Georgiano ha sempre cercato di tenere un atteggiamento equidistante tra Russia e Occidente, senza mai mostrare l’intenzione di rinunciare, almeno a livello formale, a una futura integrazione con l’Europa. Questa attitudine è stata ribadita dal premier Kobakhidze anche alla vigilia del voto del fine settimana, evidentemente con l’intento di allentare le pressioni sul suo governo e il suo partito. Ogni sforzo in questo senso è risultato però vano e la macchina della propaganda occidentale si è messa in moto per trascinare anche la Georgia nel vortice della crisi provocata ad arte alla periferia della Federazione Russa sulla scia del conflitto ucraino.

Se la situazione in Georgia scivolerà nell’immediato futuro in un tentativo a tutti gli effetti di “rivoluzione colorata” dipende dalle decisioni che verranno prese a Washington e Bruxelles. Lunedì il dipartimento di Stato è andato all’attacco del governo di Tbilisi, indicando una chiara intenzione di proseguire, almeno per il momento, con le manovre di destabilizzazione. Il portavoce Matthew Miller ha invitato esplicitamente il governo a riconsiderare i rapporti con i regimi “autoritari” e in sostanza a sottomettersi alle forze “euro-atlantiche”. Non sono inoltre mancate minacce di possibili “ulteriori conseguenze”, oltre alle misure punitive già intraprese dopo l’introduzione della legge sulle interferenze estere, se non dovesse esserci un cambio di rotta nel paese caucasico.

Anche 13 paesi UE hanno espresso preoccupazione per la situazione in Georgia e chiesto un’indagine “imparziale” sulle accuse di brogli durante le elezioni. A Tbilisi è atterrato però sempre lunedì il primo ministro ungherese Orban, che si è invece congratulato con i leader di Sogno Georgiano per il successo di sabato. In Europa restano quindi divisioni sugli indirizzi di politica estera, già più che evidenti sul fronte della guerra in Ucraina.

La già ricordata manifestazione di protesta di lunedì ha visto una partecipazione relativamente modesta, soprattutto in confronto con quelle esplose la scorsa estate. La fiducia incassata dal governo potrebbe generare un certo senso di rassegnazione tra le forze di opposizione, ma le posizioni radicali assunte da alcuni di questi partiti potrebbero prefigurare nuove iniziative nel breve periodo. A questo proposito, l’agenzia di stampa russa TASS ha scritto che sarebbero già arrivati a Tbilisi squadre di cecchini addestrati in Ucraina per provocare deliberatamente incidenti che giustificherebbero l’esplosione di proteste violente e un possibile golpe contro il governo sull’onda delle denunce contro i risultati delle elezioni di sabato scorso.

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