In questi ultimi anni, l’India e la Cina si sono trovate più volte vicine a un conflitto aperto, specialmente lungo la frontiera himalayana che condividono. Tuttavia, il recente vertice dei BRICS a Kazan ha registrato un cambio di rotta inaspettato: i due giganti asiatici hanno raggiunto un accordo storico per la gestione delle controversie di confine. Questo sviluppo non rappresenta soltanto una boccata d’ossigeno per le relazioni bilaterali, ma segna anche un possibile riassetto delle alleanze geopolitiche mondiali in un contesto di crescente multipolarismo.

L’accordo di Kazan arriva a seguito di una serie di scontri e incidenti lungo la cosiddetta “Line of Actual Control” (LAC), cioè la linea di demarcazione contestata tra India e Cina nella regione del Ladakh. Dopo il violento scontro del 2020, che causò vittime tra le truppe di entrambi i paesi, la situazione si è mantenuta incandescente. Questa nuova intesa prevede la creazione di nuovi pattugliamenti congiunti e un impegno reciproco a evitare un’ulteriore escalation. Secondo Vikram Misri, segretario agli Affari Esteri indiano, l’accordo rappresenta un “punto di svolta” per la stabilità regionale, dimostrando come sia possibile risolvere dispute storiche attraverso la diplomazia.

 

Questa scelta di dialogo è stata facilitata anche dal presidente russo Vladimir Putin, il quale ha sottolineato il ruolo dei BRICS nel promuovere un ordine mondiale alternativo a quello dominato dagli Stati Uniti e dall’Occidente. La nuova distensione tra Nuova Delhi e Pechino sembra dunque indicare una crescente consapevolezza dei limiti delle alleanze unipolari, mentre i BRICS assumono una funzione sempre più strategica per i paesi del Sud Globale.

Il riavvicinamento con la Cina segna così anche il tentativo dell’India di bilanciare la propria politica estera, che nell’ultimo decennio ha oscillato tra attrazione e diffidenza verso gli Stati Uniti. Dopo l’ascesa al potere dell’attuale primo ministro Narendra Modi, l’India aveva rafforzato il proprio rapporto con Washington, firmando una serie di accordi militari – come il Logistics Exchange Memorandum of Agreement (LEMOA) nel 2016 – che sembravano configurare Nuova Delhi come partner privilegiato nel contenimento della Cina. Eppure, i risultati di questa sorta di allineamento strategico con gli USA si sono rivelati meno vantaggiosi del previsto.

Mentre gli Stati Uniti continuavano a promettere trasferimenti tecnologici e investimenti, la realtà si è dimostrata molto più complessa. Alcuni giganti statunitensi come Ford e Harley-Davidson hanno abbandonato il mercato indiano, evidenziando le difficoltà di operare in un contesto economico in cui le normative rimangono rigide. Al tempo stesso, gli Stati Uniti hanno insistito perché l’India riducesse i legami con la Russia, soprattutto sul piano energetico, ignorando che l’importazione di petrolio russo a basso costo rappresenta per Nuova Delhi un’opportunità irrinunciabile.

Il cambiamento di rotta dell’India, volto a riconquistare una propria autonomia strategica, è probabilmente il riflesso di una lezione appresa a caro prezzo: affidarsi totalmente a una potenza straniera – anche se apparentemente ben disposta – può risultare fatale per un paese che mira a difendere la propria sovranità. Kissinger disse una volta che “può essere pericoloso essere nemici degli Stati Uniti, ma è mortale esserne amici”; una massima che sembra calzare a pennello per Modi, che in seguito alle esperienze degli ultimi anni ha deciso di rivalutare l’approccio all’alleanza americana.

La crescente cooperazione con la Cina potrebbe dunque rappresentare un mezzo per riequilibrare i rapporti. Come il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato a margine del summit BRICS, “India e Cina devono dare l’esempio” di come le nazioni emergenti possano superare le loro differenze e contribuire alla democratizzazione delle relazioni internazionali. Questa dichiarazione sottende una prospettiva comune per il Sud Globale, che guarda sempre meno agli Stati Uniti come modello di sviluppo.

Il riavvicinamento tra India e Cina è un segnale che non può passare inosservato per gli Stati Uniti, i quali da anni tentano di rafforzare una rete di alleanze per contenere l’influenza di Pechino in Asia. Tuttavia, l’India, che una volta vedeva l’Oceano Indiano come la propria sfera di influenza, ha ora visto erodere la propria autorità, tanto che persino le operazioni militari americane in quelle acque hanno suscitato proteste.

L’India, più che subordinarsi a una potenza come gli Stati Uniti, sembra volere ora contribuire a costruire un sistema internazionale multipolare in cui i paesi emergenti possano coordinare la propria voce. E i BRICS, con un’agenda sempre più orientata verso il non-allineamento e lo sviluppo autonomo, potrebbero rivelarsi il veicolo ideale per il raggiungimento di tale scopo.

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