L’arresto in Francia del fondatore della piattaforma di messaggistica Telegram, Pavel Durov, è un’operazione politica calcolata e messa in atto dal governo di Parigi con la probabile collaborazione degli Stati Uniti. Le accuse che potrebbero essere formalizzate nei confronti del 39enne miliardario di origine russa sono palesemente un pretesto per mettere sotto controllo o distruggere del tutto la popolare app di sua proprietà. L’iniziativa della giustizia francese va ricondotta alla battaglia in corso praticamente in tutto l’Occidente contro la libertà di informazione e la privacy digitale, ma ha anche l’obiettivo di favorire la propaganda NATO nel conflitto in corso contro la Russia sul territorio ucraino.

 

Telegram e le autorità europee sono da tempo in rotta di collisione, ufficialmente per il rifiuto, sia pure con alcune importanti eccezioni, da parte dei suoi vertici di censurare opinioni e informazioni contrarie alla “verità” mainstream. L’applicazione è inoltre utilizzatissima in Russia e, in particolare, negli ambienti militari. Soldati e ufficiali russi impegnati nella guerra in Ucraina fanno ampio uso di Telegram, così che la piattaforma ospita anche lo scambio di informazioni strategiche potenzialmente cruciali, su cui i governi NATO gradirebbero mettere le mani.

È molto probabile quindi che il governo francese stia facendo pressioni su Durov per garantire l’accesso ai messaggi criptati degli utilizzatori della sua app. Lo stesso fondatore di Telegram aveva espresso pubblicamente questa preoccupazione qualche mese fa durante un’intervista con il giornalista americano Tucker Carlson. Durov aveva anzi rivelato come l’FBI avesse approcciato uno dei suoi ingegneri per convincerlo a installare una “backdoor” che permettesse ai servizi di intelligence occidentali di accedere ai contenuti criptati dell’applicazione.

La vicenda di Pavel Durov è comunque singolare. Nel 2014 aveva lasciato la Russia per trasferirsi a Dubai, secondo la versione ufficiale dopo che era entrato in conflitto con il governo russo per avere respinto le richieste del Cremlino di consegnare informazioni personali di utenti del social network VK, anch’esso da lui fondato e in seguito venduto. Durov aveva poi ottenuto nel 2021 la cittadinanza francese nonostante non avesse i requisiti solitamente richiesti, come quello di avere vissuto nel paese per cinque anni. Il passaporto transalpino gli era stato consegnato grazie a una legge che lo consente se il candidato ha dato un contribuito sostanziale alla promozione dell’immagine e alla prosperità della Francia.

Quali siano stati i meriti di Durov in questo senso non è affatto chiaro, ma Telegram era già diventata una delle applicazioni di messaggistica preferite dai vertici del governo francese, incluso il presidente Macron e il suo staff dell’Eliseo. In pochi anni, l’attitudine di Parigi nei confronti di Durov è tuttavia cambiata radicalmente. Gli eventi ucraini hanno senza dubbio svolto un ruolo decisivo, visto che hanno portato allo scontro frontale Francia e Russia, non solo in relazione al conflitto in corso, ma anche riguardo alla competizione tra i due paesi nell’ex impero coloniale francese in Africa.

Nessuno dei capi di imputazione che potrebbero essere contestati a Durov hanno a che fare ad ogni modo con crimini da lui potenzialmente commessi. Si tratta invece di presunte attività criminali avvenute tramite l’utilizzo di Telegram e per le quali Durov dovrebbe esserne responsabile. Com’è facile immaginare, l’arresto del numero uno di un social media di importanza globale rappresenta un evento mai accaduto in precedenza e solleva implicazioni preoccupanti per la libertà di informazione e non solo. Durov, a seconda dell’incriminazione che verrà eventualmente formalizzata, potrebbe rischiare fino a 20 anni di carcere.

La giustizia francese nella giornata di lunedì ha reso noto dodici capi d’accusa in base ai quali Durov è sotto indagine. Essi includono il possesso e la distribuzione di immagini pedopornografiche, il traffico di stupefacenti, riciclaggio, truffa informatica e rifiuto di consegnare alle autorità competenti informazioni e documenti relativi a utenti di Telegram sotto indagine. Come già accennato, Durov non è ancora accusato formalmente di nessun crimine, ma è in stato di fermo per essere interrogato in merito al contenuto delle indagini.

L’arresto preventivo in Francia è consentito per 48 ore, ma può essere esteso da un giudice fino a 4 giorni, come è già stato fatto per Durov. Solo in casi eccezionali e particolarmente gravi questo periodo può arrivare a sei giorni. Se non dovessero essere formulate accuse in questa fase, il sospetto deve essere rilasciato. Non è chiaro per il momento come intenderà comportarsi la magistratura francese, ma è evidente che il caso ha connotati tutti politici. L’intervento dello stesso presidente Macron in un post su X (ex Twitter) lunedì ne ha confermato le implicazioni, anche se il presidente francese intendeva riaffermare l’indipendenza del potere giudiziario nel suo paese, oltre, assurdamente, alla libertà di informazione.

L’insolita presa di posizione di Macron rivela senza dubbio il disagio e le pressioni che la vicenda e i suoi riflessi internazionali stanno esercitando sui vertici del governo e dello stato francesi. La decisione di arrestare Durov con una vera e propria imboscata all’aeroporto Le Bourget di Parigi rischia anche di trasformarsi in un boomerang. Oltre a fare i conti con le critiche rivolte alla Francia per l’ennesima azione contro la libertà di espressione e lo scambio di informazioni, l’Eliseo potrebbe incrinare i rapporti con gli Emirati Arabi Uniti, di cui Durov ha la cittadinanza.

Il governo emiratino ha subito chiesto alla Francia di rispettare i diritti del sospettato e di garantirgli assistenza consolare. Francia ed Emirati sono legati da lucrosi accordi economici, commerciali e militari e l’arresto del numero uno di Telegram potrebbe avere ripercussioni negative in questo senso. Visti gli effetti sgraditi che il caso potrebbe produrre per la Francia, alcuni commentatori indipendenti hanno sostenuto che l’iniziativa di Parigi sia stata presa perciò su richiesta del governo americano e, forse, anche di quello israeliano, sempre più irritato nei confronti di Telegram per il proliferare di notizie, testimonianze e immagini che documentano il genocidio palestinese in corso a Gaza.

Quest’ultimo fattore era alla base anche della recente legge del Congresso USA per mettere al bando TikTok. In linea generale, tutti i soggetti nell’ambito tecnologico e delle comunicazioni che vengono ritenuti una minaccia agli interessi strategici occidentali – o alla propaganda ufficiale – sono al centro di campagne persecutorie, soprattutto se resistono a pressioni e minacce per allinearsi alle “richieste” dei governi e dei loro servizi di intelligence. Così è quindi per Telegram come per TikTok, ma lo è stato anche, tra gli altri, per il colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei o il network russo RT. Anche per quanti appaiono decisamente più disponibili verso leggi o imposizioni delle autorità occidentali le pressioni non vengono mai meno. A conferma di ciò, martedì il numero uno di Facebook (Meta), Mark Zuckerberg, ha rivelato a una commissione del Congresso che, durante la pandemia, l’amministrazione Biden aveva “chiesto” di censurare sulla sua piattaforma la “disinformazione” che circolava sul COVID-19.

Per quanto riguarda ancora Telegram, l’arresto del suo fondatore coincide anche con il precipitare della situazione per le forze armate ucraine e i loro sponsor NATO. Il fallimento sempre più evidente dell’offensiva anti-russa e l’inasprirsi degli effetti collaterali dei piani occidentali rendono sempre più popolari i mezzi che favoriscono la diffusione di informazioni indipendenti e credibili, facendo crescere l’opposizione alla guerra pianificata da Washington. Per questa ragione, il controllo di questi mezzi diventa un obiettivo vitale per una classe politica occidentale ultra-screditata.

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