L’iniziativa del primo ministro ungherese, Viktor Orban, per trovare una soluzione diplomatica alla guerra in Ucraina ha fatto salire a livelli stratosferici l’isteria dei leader europei. La sola possibile identificazione dell’UE o di un suo rappresentante con una proposta o un piano di pace è di fatto inaccettabile, perché comporta la messa in discussione di tutto l’edificio propagandistico costruito attorno al conflitto. Nei confronti di Orban e dell’Ungheria si stanno quindi già studiando provvedimenti, come la possibile rimozione anticipata del governo di Budapest dalla presidenza di turno del Consiglio Europeo.

La colpa imperdonabile di Orban è quella di avere rotto il fronte anti-russo costruito in Europa e di essersi recato a Mosca per discutere di pace con il presidente Putin, distruggendo l’immagine di autocrate sanguinario affibbiata a quest’ultimo per riconsegnare quella di leader razionale e aperto al negoziato sulla base degli equilibri sul campo.

Orban era stato in precedenza ospitato a Kiev da Zelensky, al quale ha presentato un piano, forse riconducibile a Donald Trump e ai suoi consiglieri, per arrivare a una tregua in grado di favorire trattative vere e proprie con la Russia e gli altri attori coinvolti nella guerra. Come se non bastasse, Orban si è alla fine consultato con il presidente cinese Xi Jinping a Pechino, per poi volare a Washington per il vertice NATO, dove ha pensato bene di promuovere la sua “missione”, in primo luogo chiedendo appoggio al presidente turco Erdogan. Negli USA, per chiudere il cerchio, Orban dovrebbe incontrare giovedì anche l’ex presidente repubblicano, probabilmente per fare il punto sugli eventi dell’ultima settimana.

Ad un’analisi obiettiva dei fatti, Orban sembra essere in effetti il politico europeo più adatto a esplorare la strada della diplomazia dopo il disastro di questi due anni e mezzo e il muro contro muro voluto da Bruxelles e Washington. Il premier ungherese è andato contro corrente fin dall’inizio della guerra, continuando a tenere i contatti con Kiev e Mosca, così come ha sempre criticato aspramente i trasferimenti di armi all’Ucraina. I suoi colleghi e i burocrati europei hanno però reagito con rabbia alla mossa di Orban. In sede UE, come già anticipato, si è iniziato a discutere di misure punitive, mentre la stampa ufficiale ha subito inaugurato un’offensiva mediatica per delegittimare l’iniziativa diplomatica e gettare fango su un leader già abbastanza controverso.

Dalla Von der Leyen a Charles Michel fino al numero uno uscente della diplomazia UE, Josep Borrell, tutti si sono affrettati a chiarire che le istituzioni europee non hanno nulla a che vedere con la “missione” di Orban. La trasferta di quest’ultimo a Kiev, Mosca e Pechino e i temi sollevati con i leader dei rispettivi governi rientrano insomma in un piano che non è rappresentativo delle posizioni europee. Il feroce risentimento che circola a Bruxelles rischia di rivelare più di quanto voluto. Un’iniziativa diplomatica concreta non può effettivamente rappresentare la classe politica dell’Europa, che si è adoperata fin dall’inizio per intensificare la guerra in Ucraina, ma rappresenta tuttavia l’opinione delle popolazioni europee, sempre più contrarie all’escalation del conflitto.

Orban minaccia perciò di allargare ancora di più il divario tra i cittadini europei e i loro leader, mostrando come una via d’uscita pacifica esista e valga la pena di percorrerla. Non solo, il lavoro di Orban delinea un progetto diplomatico che potrebbe prendere quota dopo le elezioni presidenziali americane in caso di successo di Trump. Vale a dire uno scenario visto con orrore da quei leader europei che continuano a prendere ordini dall’amministrazione Biden, anche a costo di precipitare il continente in una guerra rovinosa con Mosca.

La reazione dell’Europa alle manovre del primo ministro ungherese non sorprende nessuno. Se vi fosse stato un barlume di onestà e buon senso a Bruxelles e nelle cancellerie europee, d’altra parte, la guerra sarebbe terminata a poche settimane dall’inizio dell’invasione russa o, più probabilmente, non sarebbe nemmeno scoppiata. Vista la situazione, il fatto che un politico europeo si attivi per far finire la guerra e parli di persona con leader finora aborriti e considerati come paria, rischia di fare aprire gli occhi a quanti in Europa hanno creduto alla propaganda ufficiale, facendoli interrogare sugli interessi a cui rispondono i vertici dell’Unione e i governi dei paesi membri.

Una delle pubblicazioni ufficiali più aggressive nello stroncare il premier ungherese è la testata on-line Politico. Negli ultimi giorni sul sito di quest’ultima si è assistito a uno stillicidio di articoli che hanno cercato di mettere nella peggiore luce possibile sia Orban sia la sua iniziativa diplomatica. Sono spesso voci anonime di diplomatici e funzionari europei a sparare a zero su Orban. In un pezzo pubblicato lunedì si afferma ad esempio che la presidenza ungherese del Consiglio d’Europa è di fatto “finita prima ancora di essere iniziata”.

Mercoledì invece, in un altro esempio di finto giornalismo, Politico ha definito Orban “boiardo di Putin”, paragonando poi la sua “missione” di pace all’offerta fatta da Mussolini nel 1939 di mediare tra Hitler da una parte e i governi di Francia e Gran Bretagna dall’altra. Quasi sempre, inoltre, si fa riferimento agli interessi particolari che Orban avrebbe nel cercare di far partire negoziati diplomatici tra Russia e Ucraina, come il trattamento della minoranza ungherese che vive in quest’ultimo paese. Sempre Politico cita poi il declino del partito del premier, Fidesz, nelle ultime elezioni europee e il consolidarsi all’opposizione di una forza politica forse in grado di insidiare la sua posizione. Provando a favorire una tregua, Orban punterebbe quindi ad auto-promuoversi come uomo di pace per recuperare consensi interni.

Altri ancora ricordano come l’Ungheria intrattenga rapporti economici ed energetici molto stretti rispettivamente con Cina e Russia. Per questa ragione Orban si sarebbe auto-assegnato l’incarico diplomatico nel conflitto tra Mosca e Kiev. È evidente che Orban agisce secondo interessi ben precisi, come fanno esattamente tutti i politici. Al di là del giudizio sulle politiche del primo ministro ungherese e del suo partito di destra, nell’azione di quest’ultimo emerge però chiaramente un atteggiamento pragmatico e razionale, che comprende e paventa i rischi dell’attitudine guerrafondaia dell’Occidente.

Una posizione, quella di Orban, che non deve essere necessariamente ascritta alla sola destra populista. Infatti, segnali di crescente opposizione alle scelte suicide degli ambienti “mainstream” europei stanno emergendo anche a sinistra e contro i finti partiti progressisti e della sinistra “liberal”. Ne sono esempio il movimento di Jean-Luc Mélenchon in Francia, appena uscito vincitore dalle elezioni anticipate, o quello della deputata Sahra Wagenknecht in Germania, che ha ottenuto un risultato incoraggiante nelle europee di giugno.

Per quanto riguarda le potenzialità dell’iniziativa di Orban, sono al momento poche le speranze di successo. Come già spiegato, l’UE si sta già adoperando per bloccare sul nascere qualsiasi eventuale segnale di speranza. Da Mosca è probabile inoltre che prevalga un senso di scetticismo, visto anche l’esito del vertice NATO tenuto a Washington questa settimana. È però chiaro che la predisposizione allo scontro con la Russia e la preferenza per la guerra a oltranza sono sempre meno condivise dai popoli occidentali, mentre anche alcuni dei governi finora appiattiti sulle posizioni americane sembrano essere sul punto di riconsiderare le proprie scelte.

L’appuntamento delle presidenziali americane a novembre potrebbe segnare in questo senso una svolta e la “missione” di Orban sarebbe quindi un preludio per preparare la strada al negoziato. Nel frattempo, i rischi per il possibile precipitare della situazione non faranno che aumentare. Rischi che il governo ungherese ha valutato attentamente, visto che una guerra aperta tra NATO e Russia implicherebbe un livello di distruzione nel vecchio continente molto difficile da immaginare.

I paesi europei del Patto Atlantico non sono infatti per nulla preparati a un’impresa di questo genere, né sembra esserci coscienza dello sforzo gigantesco e di fatto insostenibile che servirebbe per rendere i sistemi militari europei adeguati a uno scontro con una potenza come la Russia. Evitare il baratro di una guerra e la distruzione di intere società ed economie per prepararsi allo scontro sono insomma anch’esse ragioni sufficienti per sostenere finalmente un’autentica iniziativa diplomatica, al di là del curriculum o degli orientamenti politici di chi intende promuoverla.

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