Tra i fronti “secondari” della guerra scatenata da Israele a Gaza sta guadagnando rapidamente intensità quello con il governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (Houthis). L’intervento a sostegno della causa palestinese sembra avere il potenziale di causare gravi danni economici allo stato ebraico e non solo, visto che minaccia le rotte navali che dal golfo di Aden e il Mar Rosso transitano attraverso il canale di Suez. Ansarallah ha assunto una posizione molto netta contro il genocidio e intende continuare a prendere di mira con missili e droni le imbarcazioni legate a Israele, o ai suoi alleati che facilitano i massacri quotidiani nella striscia, che navigano al largo delle coste dello Yemen.

 

Dopo il primo annuncio dei vertici di Ansarallah, nel quale si impegnavano a partecipare al conflitto contro il regime sionista, erano stati lanciati alcuni missili contro la città di Eilat, sul Mar Rosso, snodo cruciale dei commerci israeliani, in particolare verso i mercati dell’Asia orientale. Molti ordigni erano stati però intercettati e altri non avevano raggiunto gli obiettivi previsti, a causa anche della notevole distanza dal luogo di lancio. Un paio di settimane fa, Ansarallah aveva allora aggiustato la propria strategia, decidendo appunto di concentrarsi sulle navi collegate a entità o soggetti israeliani nel Mar Rosso.

Il 19 novembre era stata così assaltata e sequestrata la nave “Galaxy Leader”, di proprietà di un imprenditore israeliano, mentre nei giorni scorsi è stata registrata una vera e propria escalation con l’attacco a tre imbarcazioni commerciali e, forse, addirittura a una nave da guerra americana. Le tre navi battevano bandiera delle Bahamas e di Panama, ma risultano sempre di proprietà israeliana. In soccorso di queste ultime era intervenuta la nave da guerra americana “Carney”, secondo il Pentagono essa stessa bersaglio dei droni yemeniti. Da parte di Ansarallah non ci sono stati tuttavia commenti o rivendicazioni relativamente alla nave degli Stati Uniti.

L’iniziativa di Ansarallah presenterà a Israele un conto salatissimo dal punto di vista economico nel caso l’assalto contro la striscia di Gaza dovesse intensificarsi e prolungarsi. Lo stato ebraico sta già facendo i conti con pesanti ripercussioni in questo ambito, come hanno rilevato recenti analisi, e potrebbero moltiplicarsi se fossero ostacolati in maniera seria gli scambi commerciali con l’estero. Basti pensare che quasi la totalità dei beni importati da Israele, inclusi quelli alimentari, transitano via mare.

Non sarebbe inoltre solo Israele a subirne le conseguenze. Nel tratto navale del Mar Rosso che va dallo stretto di Bab al-Mandab al canale di Suez passa circa il 12% dei traffici globali di merci e poco meno del 10% del petrolio trasportato ogni singolo giorno via mare. I costi della guerra rischiano quindi di pesare non solo su Tel Aviv, ma sull’intero pianeta. Per quanto riguarda Israele, va anche aggiunto che la situazione potrebbe peggiorare se Hezbollah dovesse prendere di mira il porto sul Mediterraneo di Haifa, come avvenne durante la guerra del 2006.

L’effetto immediato sui trasporti marittimi da e per Israele riguarda in primo luogo i costi assicurativi. Secondo la Reuters, i premi chiesti dalle compagnie alle navi commerciali costrette a transitare nel Mar Rosso sono già raddoppiati rispetto alla scorsa settimana, passando da una media dello 0,03% del valore dell’imbarcazione allo 0,05/0,1%. L’unica alternativa è evitare questo tratto di mare, ma ciò implica un notevole allungamento delle distanze e dei tempi, con costi di trasporto che possono lievitare anche di svariate decine di migliaia di dollari.

Secondo il ministero degli Esteri israeliano, la guerra in corso sta costando più di 270 milioni di dollari al giorno allo stato ebraico. Lo scenario appare preoccupante per Tel Aviv, soprattutto se si considera che l’instabilità politica e le ripetute manifestazioni di protesta contro il governo Netanyahu nei mesi scorsi avevano già causato un peggioramento dell’economia israeliana. Oltre al settore commerciale, a soffrire è anche l’industria turistica. Eilat, ad esempio, è una località molto frequentata sul Mar Rosso e ha già registrato un crollo delle presenze turistiche dall’inizio della guerra.

Le preoccupazioni hanno raggiunto un livello tale a Tel Aviv e a Washington che l’amministrazione Biden ha spedito nel Golfo Persico l’inviato speciale per lo Yemen, Timothy Lenderking, con l’incarico di studiare un piano per garantire la sicurezza della navigazione nel Mar Rosso. A questo proposito, lunedì il consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, aveva informato la stampa che gli USA stanno discutendo con alcuni paesi della regione per organizzare una “task force” in grado di impedire gli attacchi di Ansarallah dallo Yemen.

Dopo la pausa dovuta alla tregua concordata tra Israele e Hamas, Ansarallah ha ripreso le operazioni contro gli interessi dello stato ebraico nel Mar Rosso. In molti si chiedono quali contromisure efficaci potranno adottare Israele e gli Stati Uniti per salvaguardare i traffici marittimi. Le navi da guerra americane o israeliane che dorebbero scortare le imbarcazioni commerciali rischiano infatti di diventare esse stesse bersagli per i droni e i missili lanciati dallo Yemen.

L’intervento di Ansarallah segna dunque la partecipazione a pieno titolo dei “ribelli” sciiti yemeniti alle operazioni della “Resistenza” anti-sionista in Medio Oriente. Un’analisi pubblicata nel fine settimana dalla testata on-line libanese The Cradle ha approfondito il ruolo degli “Houthis” nel conflitto in corso a Gaza, rilevando anche le possibili implicazioni per la guerra in larga misura congelata nello Yemen.

Una qualche iniziativa americana a protezione di Israele nel Mar Rosso potrebbe riaccendere la guerra scatenata dall’Arabia Saudita nel 2015, soprattutto se fosse confermata la notizia dell’abbattimento da parte di Riyadh di missili lanciati verso Israele da Ansarallah. La tregua di fatto tra i “ribelli” e la coalizione guidata dai sauditi finirebbe per crollare e, se pure lo Yemen sarebbe nuovamente esposto all’aggressione dei propri nemici, anche questi ultimi ne pagherebbero le conseguenze.

Nonostante l’apparente disparità di mezzi, Ansarallah aveva dimostrato di essere in grado di arrivare a colpire il territorio di Arabia Saudita ed Emirati Arabi. È quindi probabile che questo scenario possa ripetersi, mettendo a nudo ancora una volta la vulnerabilità dei regimi sunniti del Golfo e la distanza crescente tra questi ultimi e la “Resistenza” nella difesa del popolo palestinese dai crimini del regime sionista.

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