La pubblicazione nei giorni scorsi di un rapporto dell’influente think tank americano RAND Corporation sta alimentando un dibattito piuttosto acceso sui media alternativi circa un possibile cambio di rotta almeno parziale all’interno dell’apparato di potere USA sulla guerra in Ucraina. Essendo la RAND nota da sempre come un centro studi ultra-aggressivo in materia di politica estera americana, la sua presa di posizione allarmata sul coinvolgimento di Washington a lungo termine nel conflitto sembra essere di particolare rilievo, anche se restano quanto meno dubbi gli effetti concreti che potrebbe avere sugli ambienti “neo-con” che controllano di fatto le decisioni dell’amministrazione Biden.

Al centro del documento di oltre trenta pagine c’è la tesi che gli interessi degli Stati Uniti sarebbero meglio soddisfatti “evitando un prolungamento della guerra” tra la Russia e l’Ucraina (NATO), visto che “i costi e i rischi di un conflitto di lunga durata… superano i possibili vantaggi”. Gli autori del rapporto bocciano in questo modo le scelte fatte fin qui dal governo USA, impegnato ad aumentare il livello di coinvolgimento e dello scontro con Mosca garantendo armi e mezzi militari sempre più sofisticati al regime di Kiev al preciso scopo di prolungare i tempi della guerra.

L’argomento della RAND si basa in sostanza sulla futilità degli sforzi USA/NATO per evitare la sconfitta dell’Ucraina. Nel documento si legge che l’invio protratto di aiuti militari “potrebbe diventare insostenibile”, vista la molto probabile capacità della Russia di “ribaltare i successi ucraini sul campo di battaglia”. Alla luce di ciò, anche il tentativo di riconquistare le regioni annesse dopo referendum dalla Russia dovrebbe essere messo da parte, risultando “irrilevante” per gli Stati Uniti a causa degli “scarsi benefici” e dei “costi molti alti” che comporterebbe.

La RAND invita quindi l’amministrazione Biden a “fare dei passi per rendere possibile una fine negoziata del conflitto”, ad esempio “esercitando pressioni sull’Ucraina affinché vengano avviate trattative” e accettato anche “un esito sfavorevole” attraverso la minaccia dello stop ai finanziamenti destinati alle operazioni militari. In merito alla Russia, l’incentivo consisterebbe invece nell’offrire una “sostanziale” riduzione delle sanzioni in caso di partecipazione al tavolo delle trattative.

Al di là dell’interesse molto improbabile del Cremlino per quest’ultima ipotesi o per l’intero studio della RAND, la sola pubblicazione di esso sembra segnalare uno dei primissimi casi di rottura del fronte apparentemente compatto dei “falchi” anti-russi a Washington. A ben vedere, segnali di disagio erano già arrivati soprattutto dagli ambienti militari americani. Lo stesso capo di Stato Maggiore USA, generale Mark Milley, già lo scorso novembre aveva sollecitato una soluzione diplomatica al conflitto, mettendo in guardia dai rischi di un’escalation.

Un’analisi del blog indipendente Moon Of Alabama riconduce il recente studio della RAND Corporation al confronto interno al “Deep State” americano, con i “falchi” che hanno per ora la meglio sulle (relative) “colombe”. In quest’ottica, sarebbe del tutto possibile che il generale Milley abbia in qualche modo chiesto un documento ufficiale alla RAND per “promuovere la sua tesi”. Il think tank con sede a Santa Monica, in California, è d’altra parte finanziato direttamente dal Pentagono.

Secondo Moon Of Alabama, la fazione “neo-con, a cui fanno capo tra gli altri il consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan, il segretario di Stato Anthony Blinken e uno dei sui vice, Victoria Nuland, dettano di fatto le scelte della Casa Bianca sull’Ucraina e controllano o manipolano il flusso di informazioni che arrivano sulla scrivania del presidente. A far salire le quotazioni dei militari e a rendere popolari le indicazioni suggerite dalla RAND Corporation potrebbero essere però gli sviluppi delle prossime settimane sul campo, ovvero se l’avanzata della campagna militare russa dovesse rendere impossibile da occultare il tracollo del regime di Zelensky e il flop dei piani della NATO.

Ci sono comunque almeno due elementi su cui si basa lo studio della RAND che potrebbero essere valutati con attenzione dalla Casa Bianca e dalla galassia “neo-con”. Il primo e più ovvio è l’avvertimento circa l’indebolimento degli Stati Uniti e dell’intera NATO in ambito militare a causa dello svuotamento dei rispettivi arsenali in seguito al trasferimento massiccio di armi al buco nero ucraino. Il secondo e più delicato è collegato a quest’ultimo. Un lungo conflitto sul fronte russo-ucraino finirebbe cioè per sottrarre risorse al vero obiettivo della lotta per la sopravvivenza dell’Impero come potenza globale: la Cina.

Non solo la natura della guerra di fatto condotta da USA/NATO contro la Russia rappresenta una distrazione dal teatro asiatico e dalla rivalità con Pechino, ma minaccia di rendere Mosca “più dipendente” dalla Cina, qualunque sia l’esito del conflitto in Ucraina. Uno dei punti cruciali della strategia planetaria di Washington è appunto l’imperativo di evitare il consolidarsi di un’alleanza tra Russia e Cina, con il corollario dell’integrazione dello spazio euro-asiatico. Una lunga guerra in Ucraina, dunque, rischierebbe di rendere reale questo scenario, conclude la RAND Corporation, “dando alla Cina un vantaggio nella competizione con gli Stati Uniti”.

Alla base delle tesi del rapporto della RAND, così come dei vertici militari USA che hanno espresso un qualche scetticismo nei confronti della gestione della crisi ucraina da parte dell’amministrazione Biden, non ci sono comunque sentimenti di natura pacifista. Per cominciare, era stato questo stesso istituto nell’aprile del 2019 a descrivere in un rapporto le opzioni degli USA per vincere la sfida strategica con Mosca, prevedendo in larga misura quanto sarebbe accaduto meno di due anni più tardi in Ucraina.

La prudenza che era sembrata caratterizzare le dichiarazioni del generale Milley non è inoltre generalizzata nemmeno tra gli alti ufficiali americani. Proprio qualche giorno fa, infatti, il presidente del Comitato Militare NATO, il generale americano Rob Bauer, in un’intervista alla televisione portoghese RTP ha assicurato che l’Alleanza è pronta a “uno scontro diretto con la Russia”. A questo scopo, il generale Bauer ha invocato una “economia di guerra”, com’era accaduto nel secondo conflitto mondiale.

Se poi la guerra in Ucraina dovesse trovare una soluzione diplomatica e la minaccia di una conflagrazione nucleare venire meno, il futuro non sarebbe in nessun modo segnato dal trionfo della pace. Come lascia intendere il rapporto della RAND Corporation, il mirino di Washington si sposterebbe in questo caso sulla Cina. I preparativi per questo scontro sono d’altra parte avviati e il fronte asiatico è da tempo in fermento per via dell’aggressività americana. A testimoniare lo stato delle cose è tra l’altro la notizia circolata nei giorni scorsi di un documento interno al Comando Mobilità Aerea USA, redatto dal generale Mike Minihan, il quale avrebbe invitato i reparti coinvolti a iniziare l’addestramento per una guerra con la Cina, poiché, ha scritto l’alto ufficiale americano, “il mio istinto mi dice che combatteremo nel 2025”.

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