Secondo la narrazione dominante, i Giochi Olimpici sono un simbolo di pace e cooperazione internazionale, trionfo del merito e della disciplina individuale, un luogo che aspira a porsi oltre le divisioni e i conflitti politici. Tuttavia, lo sport, come ogni altra sfera della società, sappiamo non essere neutrale, bensì specchio delle strutture economiche e politiche dominanti, e di certo le Olimpiadi non sfuggono a questa logica.

L’esclusione degli atleti russi e bielorussi ne è una chiara evidenza, soprattutto quando messa a confronto con la presenza di quelli israeliani, a cui è stato permesso di sventolare orgogliosi la bandiera di uno Stato genocida, che veniva applaudito sul podio di Parigi mentre non ha mai smesso di bombardare scuole ed ospedali in Palestina. Chissà quanti di quegli atleti hanno già servito nell’ IDF, chissà quanti dovrebbero essere chiamati a rispondere di crimini  di guerra invece che essere festeggiati per aver primeggiato in qualche acrobazia.

 

Anche lo sport, non solo la guerra, è politica con altri mezzi. E da questa prospettiva anche il medagliere olimpico si presta ad un’altra lettura, quella che vede contrapporsi il Sud globale contro il Nord, alla ricerca di rivendicazione, emancipazione e riscatto, nonostante le disuguaglianze strutturali che - queste si - si trasformano in un incolmabile vantaggio competitivo in tutte quelle discipline ad alto impatto tecnologico; quegli sport, cioè, dove non contano solo la dedizione e le capacità degli atleti, quanto piuttosto la capacità dello Stato di investire in tecnologia sportiva d’avanguardia.

Pensate al nuoto, dove addirittura si arriva a questionare sulla composizione delle acque delle piscine di gara e dove un costume tecnico può fare la differenza. Il tennis, i tuffi, la scherma. Per non parlare del gruppo Sport Snob - Vela/Golf/Equitazione - o dell’impatto dell’intelligenza artificiale sulla preparazione degli atleti.

Senza alcuna sorpresa, pertanto, i paesi del Primo Mondo egemonizzano questi sport, mentre al contrario perdono sempre più rilevanza - fino in alcuni casi a scomparire - in tutti gli sport dove disciplina, tecnica e talento fanno la differenza, dove la tecnologia arriva ma fino ad un certo punto, come gli sport di lotta ed alcune discipline dell’atletica.

Pensiamo a Cuba: nonostante l’embargo criminale che subisce dagli USA e vassalli, investimenti e possibilità esponenzialmente minori rispetto a tutti gli altri, è riuscita a sviluppare un sistema sportivo popolare che ha permesso al Paese di ottenere risultati straordinari, come la quinta medaglia d’oro in 5 olimpiadi diverse vinte nella lotta dal leggendario Mijiain Lopez Nunez e l’oro nel pugilato di E. Alvarez.

Eppure ci si perde in dibattiti che non affrontano quelle questioni strutturali che impediscono una vera competizione, preferendo gettare fumo negli occhi del pubblico bullizzando un’ atleta donna di un Paese del Sud globale che si sta riscattando la vita un pugno alla volta.

Eppure il ruolo della tecnologia e delle disuguaglianze economiche nello sport  rimane fondamentale: così come nel processo di decolonizzazione - infatti - il monopolio tecnologico dei Paesi sviluppati è stato l’architrave del perdurare della dominazione economica, così nello sport il monopolio tecnologico genera disuguaglianze competitive incolmabili che rendono  la competizione strutturalmente falsata a favore dei Paesi più ricchi e a discapito di quelli più poveri.

Ed è per questo motivo che ogni medaglia conquistata da un paese in via di sviluppo pesa molto di più di quelle dei Paesi sviluppati; essa rappresenta non solo il trionfo di un individuo, ma l'affermazione di un Paese che sta ritagliandosi un posto nel nuovo ordine multipolare.

Queste vittorie, che diventano più numerose ad ogni nuova edizione, pesano di più non solo per il valore sportivo, ma anche perché simboleggiano la lotta contro le disuguaglianze storiche e strutturali, la pretesa di un riconoscimento internazionale,  il superamento delle le barriere imposte dalla loro storia di sfruttamento e marginalizzazione.

Insomma, queste vittorie sono un vero e proprio messaggio urlato al vecchio mondo: guardateci, siamo il futuro che arriva e siamo qui per restare.

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