di Giovanna Pavani

Quando la cura è peggiore del male. Perché non cura, ma peggiora la cancrena. Dopo il doloroso caso Sircana, sapientemente costruito dal “Giornale” di famiglia con il metodo del discredito dell’avversario politico attraverso la calunnia, il Garante per la Privacy ha sentito il dovere di chiudere la bocca per sempre a chi intendesse utilizzare, d’ora in poi, notizie sulle attitudini sessuali del potente di turno per questioni di lotta politica portata avanti con il metodo antico del colpo sotto la cintura, dello scandalo, della pubblica indignazione. Con un provvedimento draconiano (e come tutti i provvedimenti promossi sull’onda dell’emergenza pieno di lacune) quest’ Istituzione che dovrebbe garantire i cittadini, ma si muove celermente solo quando c’è di mezzo “il potere”, ha tagliato la possibilità dei giornalisti di svelare ai cittadini elettori questioni private di personaggi pubblici che – ed è questa la parte rilevante – riguardino “solo” le loro attitudini sessuali. Con effetto immediato è stata vietata la pubblicazione di notizie che “si riferiscano a fatti e condotte private che non hanno interesse pubblico”, che contengano “dettagli e circostanze eccedenti rispetto all’essenzialità dell’informazione”, che enuncino “particolari della vita privata delle persone diffusi in violazione della tutela della loro sfera sessuale”. Pena da due mesi a tre anni di reclusione. Nell’impossibilità di irrogare direttamente le sanzioni, l’ impegno del Garante è quello a riferire all’autorità giudiziaria ogni ritenuta violazione. Fatto salvo che non si può che salutare con favore un provvedimento che colma il vuoto esistente, da troppo tempo a questa parte, nella deontologia professionale giornalistica, ormai schienata agli appetiti commerciali degli editori più che votata all’informazione verso il pubblico dei lettori, ci sono domande che restano inevase. Ma perché questa censura solo sul sesso? E, soprattutto: la sfera “sessuale” di cui è vietato riferire, quali limiti avrebbe secondo il Garante? Quali sono, insomma, i margini oltre i quali una notizia è riferibile oppure no? E qualora l’ambito della tutela si limitasse a quanto non già previsto dal codice penale, si è davvero certi che parlare di semplice “violazione della tutela della sfera sessuale” non possa ingenerare colpevoli equivoci? Ma soprattutto: vista l’urgenza della materia, perchè puntare solo sul sesso e non far rientrare dentro questo provvedimento altri comportamenti privati, non previsti dalla vigente legge sulla privacy e che non costituiscono reato, ma che sono letti comunque dall’opinione pubblica come condannabili? Se un politico viene “beccato” da un giornalista a fumare droga mentre porta l’immondizia nel cassonetto e la foto che lo incastra viene pubblicata, la sua carriera non può dirsi destinata al declino come se fosse stato trovato a letto con l’amante. Eppure anche la prima cosa riguarda in qualche modo la privacy, se la si vuole dire tutta. Ma il sesso – e non solo in Italia, ovvio – fa più notizia. Perché?

La risposta è semplice, anzi banale. In quest’Italia bacchettona, perbenista e clericale, dove non fa quasi più scandalo che il Vaticano detti al Parlamento l’agenda politica delle riforme sociali e dove si immagina che il corpaccione elettorale dei cattolici sia ancora così numeroso da fare la differenza nelle urne, a discapito della crescita culturale del Paese, è ovvio che il sesso faccia più paura della corruzione, che il tradimento della morale e del pudore sia considerato più pesante del governare per i propri interessi personali. Che, insomma, la libertà di amare chi si vuole e come si vuole senza una benedizione superiore provochi reazioni scomposte e scioviniste che possono essere declinate con un’unica parola: censura. Ma su un binario unico.

Limitare il controllo dei media sui poteri forti del Paese costituisce da tempo obiettivo di molti politici italiani, soprattutto di destra ma anche a sinistra. Ma arrivare al livello di mettere un bavaglio a tutta la stampa solo per condannare un falso scoop, per quanto basso e vergognoso, indicando solo nel “sesso” fuori casa il principale motivo dello scandalo, è qualcosa di ridicolo. Eppure c’è veramente poco da ridere se, oltre a questa censura, è arrivato anche un altro provvedimento che vieta drasticamente la trasmissione di programmi porno soft in tv in quelle ore tanto antelucane da scongiurare la possibilità in partenza che ci siano bambini attaccati al telecomando. Ma qui si vieta anche ai loro papà, agli adulti in genere, di vedere ciò che più gli aggrada. La storia insegna che la cultura del divieto non ha mai dato buoni frutti. E che, anzi, spinge le anime più deboli a desiderare in modo spasmodico proprio ciò che non possono ottenere facilmente. E’ un modo come un altro di controllare usi e consumi, ad esclusivo beneficio di chi di ciò che è vietato fa commercio, a cominciare dal sesso e dai film porno. D’ora i poi, dunque, si pagherà per vedere. Oppure ci si dovrà accontentare del bordello diurno elargito gratis dove impèra la cultura delle isole degli sfigati, i Grandi Fratelli, le Pupe e i secchioni e tutti quei programmi che portano avanti la cultura trash secondo cui anche chi non ha talento, spogliandosi, può sfondare in tv. In questo modo si alimenta, in modo subliminale, la domanda del proibito. Se si chiudesse questa sporcizia, cesserebbe invece l’offerta, salvando giornali e giornalisti dalle ire codine di un Garante qualora un giorno dovessero svelare i segreti di certe scalate nei palinsesti tv.

Ma quando non si vuole spiegare, perché ci sono interessi commerciali superiori in gioco, è meglio obbligare a tacere. L’editto del Garante, non a caso, interviene a tutto campo minacciando a sua volta una dura repressione. Nei casi dubbi chi valuterà tuttavia se c’è interesse pubblico, chi stabilirà se i particolari sono essenziali all’informazione? E nel caso in cui notizie relative alla sfera sessuale dovessero interessare l’opinione pubblica, la loro pubblicazione concreterà davvero l’illecito? Per amor di chiarezza: pubblicare che ad un parlamentare piacciono ecstasy e notti con ragazze costituisce fatto privato o abitudine sessuale coperta dalla privacy; ma se egli ha partecipato a campagne in difesa della famiglia tradizionale, la notizia non può più, forse, dirsi privata. Passare le notti in discoteca è fatto privato; ma se si tratta di un campione sportivo che il giorno dopo deve giocare, la notizia diventa certamente di interesse pubblico. Sniffare cocaina è evenienza privata; ma se si tratta di un politico, di un dirigente d’azienda, potrebbe diventare di interesse pubblico.

Si tratta dunque di problemi davvero delicati, la cui soluzione non può certo essere decisa col machete e sull’onda dell’emozione di un caso di giornalismo spazzatura. Ecco perché molte dichiarazioni arrembanti piovute copiose a caldo dopo la pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale hanno disturbato parecchio chi crede ancora che l’unica vera legge del buon giornalismo sia quella stabilita dalla deontologia professionale, purtroppo latente in molti giornali ma non del tutto defunta, e dalla coscienza di chi scrive. “Se non vedo, non scrivo”, diceva Indro Montanelli. Basterebbe questa frase a rendere inutile qualsivoglia intento censorio. E alla quale, aggiungiamo noi: “Se non vedo, non scrivo. E anche quando vedo, decido poi se scrivere o no”.

Si deve cercare di proteggere la riservatezza, ma senza annullare l’informazione vera, censurando solo ed esclusivamente quella spazzatura, evitando provvedimenti a pioggia che certo non aiutano ad avere chiarezza. L’informazione pattumiera dev’essere combattuta, senza tuttavia vietare ogni pubblicazione gossip; sarebbe ridicolo farlo. Tanto più che, anche se il Parlamento dovesse incautamente calare un velo di censura sulla stampa, i giornalisti, quando dovessero entrare in possesso di una notizia vietata, la pubblicherebbero comunque. E’ sempre stato così, perché stupirsene? Vietare a tutto tondo, quindi, non serve. Servirebbe, invece, di colpire chi divulga notizie false per scopi che nulla hanno a che vedere con l’informazione, ma con una lotta politica di infimo livello. Nessuno, nell’ufficio del Garante, ha sentito il bisogno di censurare gli autori del falso scoop sul portavoce del governo, Silvio Sircana, si è preferito colpire nel mucchio, per giunta veicolando il messaggio che è meglio limitare la libertà di espressione di tutti pur di non colpire direttamente chi distrugge la vita delle persone con falsi scoop sulle attitudini sessuali di chi conta nel Paese. Come se questo fosse davvero il peggior male ed il marcio non si annidasse, invece, proprio in quelle pagine bianche di alcuni giornali che ieri sembravano davvero dei sepolcri imbiancati.




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