di Maurizio Coletti

Il tentativo di costruire una nuova politica sulle droghe, meno inutilmente repressiva, più pragmatica ed efficace, rischia di arenarsi sulle secche dei moralismi, dei sacri principi, dei “non possumus”, delle timidezze. Del resto i segnali già c’erano, abbondanti. I caporioni di AN, con l’accompagnamento di Giovanardi, avevano iniziato a suonare grancasse e tromboni sul fatto che “sulla droga non si transige, è droga e basta”. Droghe e drogati visti come il grande pericolo per la società e, manco a dirlo, per la famiglia. I teo-dem si sono subito fatti vivi sui principi, più sacri che laici. Costoro sono certi che l’uso di droghe sia sempre e comunque moralmente riprovevole e si oppongono a qualsiasi approccio moderno, tollerante ed efficace verso usi ed abusi. L’arruolamento dei temi delle droghe in quelli “eticamente sensibili” è supportato da molti. Come già ricordato in altre occasioni, Fassino individua una connessione tra le droghe, i Dico, la procreazione assistita ed altre faccende; su questi, afferma, occorre agire con cautela e con grande delicatezza. Il che equivale alla paralisi completa, come è noto. Nessuno si perita di sottolineare che le politiche su questi temi dovrebbero almeno un poco, essere basate sulle evidenze e che le scelte di contrastare il fenomeno attraverso la repressione dei consumatori è fallita, in Italia ed altrove. La repressione, la minaccia, la durezza, non riescono a convincere giovani e meno giovani a non consumare. Le stesse azioni sono ugualmente, totalmente inefficaci per chi abusa di sostanze. Ragionevolezza vorrebbe (insisto: ragionevolezza, non ideologia) che si evitassero gli errori fin qui commessi e che si provasse a considerare la cosa sotto altri punti di vista. Il che non vuol dire inevitabilmente politiche liberalizzatici, legalizzatici, lascive e permissive. Vuol dire, soprattutto, abbandonare l’approccio repressivo.

Nella banda degli incerti, degli “iperprudenti”, degli “eticamente sensibili”, va arruolato d’ufficio il Ministro dell’Interno, Giuliano Amato.
Titolare del Dicastero chiave per la lotta alla criminalità ed incurante degli appelli del Premier ai suoi Ministri (“non parlate, agite”) Amato, pochi giorni addietro, se ne esce con la proposta di far partire una immensa campagna di controllo dei giovani: i ballerini al di fuori delle discoteche e gli studenti fuori delle scuole. Tutti questi dovrebbero essere sottoposti a controlli a tappeto per identificare consumatori ed abusatori. E dopo i controlli?

Una bella punizione amministrativa: riduzione dei crediti scolastici, da scontare o nell’anno successivo o all’esame di maturità. Domanda: quanti crediti verrebbero decurtati? In funzione della quantità di sostanza? Della sostanza stessa? Occorre sottolineare almeno tre aspetti differenti dell’improvvida esternazione

Il primo è che Amato, parlando di una “gigantesca campagna contro i consumatori”, parte poi, lancia in resta, contro gli studenti ed i giovani in particolare. Gli altri soggetti consumatori (parlamentari, vallette, veline, medici, manager, indossatrici, calciatori, sportivi in genere) li vuole lasciare in pace.

Il secondo è che Amato rinuncia, quasi apertamente, a considerare come prioritaria la lotta al narcotraffico. Affermata dal Ministro competente per l’ordine pubblico e la repressione del crimine, e abbastanza indigeribile. In tutto ciò, non una sola parola sulla battaglia contro i mercanti di morte, contro le narcomafie, contro le organizzazioni criminali. Solo la proposta di uno psicodramma collettivo (il “rendersi conto”…) e misure contro un anello debole.

Il terzo, più sconvolgente di tutti, è la risposta punitiva (una punizione …light…?). Se si parte dal concetto (traumaticamente errato) che i consumi (e gli abusi, ovviamente) sono da correggere, perché non ipotizzare che al posto di agenti di polizia e di carteggi tra prefetture e scuole, non vi siano operatori sociali e sanitari? Perché non proporre un intervento di supporto e di accoglienza? Magari, nei casi in cui sia necessario, un adeguato trattamento?

Lontani dall’ipotesi che le politiche sulle droghe debbano essere razionali, basate sulle evidenze, sulla comprensione dei fenomeni, sulla riduzione dei danni, questi politici (opposizione e maggioranza, non importa) insistono sull’unico tasto della repressione. Perché lo fanno? C’è in giro un gran parlare solo di valori, di famiglia; chi ascolta, anche di sfuggita, qualche trasmissione televisiva del tardo pomeriggio, può rendersene conto: la belloccia di turno, giovane e piacente, dichiara: “voglio essere me stessa (??!?), il mio desiderio è costruirmi una famiglia”. Ratzinger, Ruini, ora Bagnasco insistono, ripetono, minacciano sullo stesso tema caro alle veline di turno.

L’offensiva sui valori religiosi comprende infatti anche il tema della droga. Sullo sfondo, lontana e sfocata, la questione delle risorse da dedicare ad interventi efficaci sul campo. Attendiamo pazienti che la senatrice Binetti pensi anche a questo aspetto, tra un cambio di cilicio ormai sanguinante ed un attacco al pensiero laico.

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