Se da un lato l’Italia figura tra i pochi paesi OCSE in cui gli immigrati hanno un tasso di occupazione superiore a quello dei nativi, dall’altro la qualità dei posti di lavoro ricoperti è molto spesso bassa. A dirlo, il IX Rapporto “Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia” del ministero del lavoro e delle politiche sociali, che sottolinea come il contributo in termini di forza lavoro da loro apportato sia notevole. Rispetto al 2017, gli occupati stranieri sono cresciuti di 32mila unità mentre sono diminuiti di sei mila i disoccupati e di undici mila gli inattivi.
Componente sempre più strutturata e stabile nel mercato del lavoro, gli immigrati sembrano essersi lasciati alle spalle il periodo di crisi, registrando un aumento dell’occupazione ma senza dimenticare però i ritardi di quella femminile, l’incidenza degli infortuni e le piaghe dell’integralità. La rilevanza dei lavoratori stranieri incide in specifici settori economici: servizi collettivi e personali, alberghi e ristoranti, costruzioni e agricoltura.
Quasi il 90 per cento di loro ricopre la mansione di operaio. E, però, tutto sommato, il loro livello di soddisfazione a parità di mansioni con gli italiani è elevato, contestano, piuttosto, l’assenza di mobilità professionale e la troppo bassa retribuzione, mentre danno riscontro positivo relativamente alla percezione del clima nelle relazioni professionali.
Problematica, invece, la condizione occupazionale delle donne: oneri di cura e vincoli famigliari, insufficiente partecipazione, scarsa mobilità e bassissime retribuzioni incidono sulla loro posizione, già svantaggiosa. La numerosità del nucleo famigliare, infatti, risulta inversamente proporzionale al livello di inclusione nel mondo del lavoro e tra le diverse comunità si riscontrano notevoli differenze: si va dalle donne ucraine, pienamente occupate e per lo più sole alle pakistane, prevalentemente in coppia con figli e inoccupate.
Preoccupano i dati sugli infortuni: nel biennio 2017-2018, si registra un incremento del 7 per cento, passando dalle 97mila denunce dei primi mesi del 2017 alle oltre 104mila dello stesso periodo del 2018. Fortunatamente, crescono i rapporti di lavoro contrattualizzati, fra collaborazioni e assunzioni a tempo determinato; diminuiscono, però, i percettori di indennità di mobilità e aumentano i percettori di NASPI e i beneficiari di indennità occupazionale agricola.
Si rileva, poi, un incremento delle pensioni del 13 per cento e alla fine del 2018 a percepirle sono 56mila cittadini stranieri. Duecentoventisettemila e 770 cittadini stranieri in cerca di lavoro si sono rivolti ai Centri per l’Impiego con un’interazione sistematica e più attiva rispetto agli italiani, ma solo pochi hanno beneficiato di servizi di consulenza e orientamento, ricevuto un’offerta di lavoro o un’opportunità di formazione regionale. Poco coinvolti anche nel sistema del tirocinio extracurriculare: nel 2018, su 348mila attivati, poco meno di 40mila hanno interessato i cittadini extracomunitari.
“Difficile arrivare a sistemi completamente demand driver come quello canadese ma ci sono enormi margini di miglioramento”, ha commentato, in occasione della presentazione del rapporto qualche giorno fa, la segretaria generale del CEEP, Valeria Ronzitti. “Per il futuro - ha aggiunto il direttore per il Lavoro, l’occupazione e le politiche sociali dell’OCSE, Stefano Scarpetta - bisognerebbe aumentare la partecipazione degli immigrati alle politiche attive, migliorare il riconoscimento delle competenze, rafforzare la formazione linguistica, sostenere il doposcuola e garantire parità di accesso per i figli degli immigrati”.

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