Sono quasi cinquantamila le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza sparsi in Italia che l’Istat ha recensito, nei mesi di giugno e luglio dell’anno corrente, svolgendo per la prima volta un’indagine sui servizi offerti alle donne vittime di violenza, in collaborazione con il dipartimento per le Pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio e con il contributo del Consiglio nazionale delle ricerche.

 

Duecentocinquantatre i centri monitorati – 22 per cento nel Nord Ovest, 20 per cento nel Nord Est, 16 per cento al Centro, 34 per cento al Sud e 8 per cento nelle Isole – nei quali il numero medio di donne prese in carico in ogni centro è centoquindici, centosettanta nel Nord Est e quarantasette al Sud: il 27 per cento di loro è straniera, il 64 per cento ha figli, nel 70 per cento dei casi minorenni.

 

Ci si sono rivolte per ottenere per chiedere ascolto e accoglienza, supporto legale, servizi di orientamento al lavoro, di accompagnamento ad altri servizi, sostegno psicologico e verso l’autonomia, aiuto di allontanamento dal partner violento, supporto alloggiativo e per i figli minori.

 

Con la possibilità di contattare i centri ventiquattro ore su ventiquattro nel 69 per cento delle strutture, di lasciare un messaggio nella segreteria telefonica negli orari di chiusura o, nel 25 per cento dei casi, di comporre il numero verde dedicato, che nel 95 per cento dei casi è quello nazionale (1522) contro la violenza e lo stalking.

 

Perché, nell’86 per cento delle situazioni, i centri lavorano in sinergia con altri enti della rete locale, servendosi, pure, di corsi di formazione per il personale operante: il 93 per cento dei centri antiviolenza osservati prevede una formazione obbligatoria per le operatrici impegnate che sono circa quattromila e cinquecento, delle quali il 56 per cento presta servizio in forma esclusivamente volontaria. Sono psicologhe, avvocatesse e operatrici dell’accoglienza. Ottenendo il risultato che conta oltre ventinovemila donne inserite in un percorso specifico di uscita dalla violenza.

 

L’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del CNR, contestualmente, ha realizzato un’indagine, negli ultimi tre mesi, sui programmi rivolti a uomini maltrattanti, compresi quelli attivi all’interno degli istituti penitenziari, previsti nel Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020 per prevenire la recidiva e favorire percorsi di rieducazione degli autori di violenza.

 

Nei cinquantadue programmi esaminati, sono settecentoventisei gli uomini che vi hanno aderito: il 76 per cento ha un’occupazione stabile, il 72 per cento è padre, il 56 per cento è in un rapporto di coppia, il 29 per cento è straniero, il 20 per cento ha dichiarate vulnerabilità psichiche e il 39 per cento è detenuto – sono oltre tremila e cento quelli ristretti per violenza sessuale, novecentocinquanta quelli per stalking, duecentoventi quelli per percosse e duecentosette quelli per reato di tratta e schiavitù.

 

La maggior parte dei programmi offre servizi a titolo gratuito: ascolto telefonico, consulenze psicologiche ma anche psicoterapia individuale e di gruppo, sostegno alla genitorialità responsabile; sei centri offrono consulenza legale sia in ambito civile sia legale e tre centri prevedono un accompagnamento all’inserimento lavorativo, la mediazione linguistica e percorsi di recupero dalle dipendenze. Perché la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne parte, soprattutto, dall’impegno degli uomini.

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