E’ uno dei pilastri dell’approccio europeo all’immigrazione: l’esternalizzazione delle frontiere dei paesi confinanti con l’Unione europea. Cioè, oltre a fortificare le proprie, ad aver sviluppato una sorveglianza sempre più sofisticata, a intensificare la tracciabilità delle persone, l’Europa ha sviluppato politiche per esternalizzare le sue frontiere. Stringendo accordi con i paesi confinanti, spesso profondamente autoritari, repressivi e irrispettosi dei diritti umani fondamentali, per accettare di espellere i migranti, rendendo la pratica completamente invisibile ai cittadini europei.

 

 

Ma a contribuire alla definizione delle politiche di protezione delle frontiere europee ha contribuito, certamente, l’industria delle armi. Che ne trae il massimo vantaggio dalla fornitura di gran parte delle attrezzature e dei servizi per la lotta all’immigrazione.

 

Sebbene sia difficile trovare cifre assolute, la spesa dell’Unione europea per la sicurezza delle frontiere nei paesi terzi è aumentata notevolmente: stando al rapporto Espandendo la fortezza, rilanciato in Italia da Rete Italiana per il Disarmo e da Anci, dai finanziamenti per i progetti legati alla migrazione provengono, da sempre, strumenti per combattere (con le armi) la migrazione irregolare.

 

La crescita della spesa per la sicurezza dei confini ha avvantaggiato società produttrici di armi e società di sicurezza biometrica: l’Italia fa la sua parte con Leonardo e Intermarine per sostenere il lavoro di repressione alle frontiere egiziane, tunisine e libiche. C’è, poi, anche un certo numero di società semi-pubbliche e organizzazioni internazionali che forniscono consulenza, formazione e gestione di progetti per la sicurezza delle frontiere: la francese Civipol, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e il Centro Internazionale per lo sviluppo delle politiche migratorie.

 

E c’è, inoltre, una presenza crescente di militari e forze dell’ordine nei paesi terzi (sui quali i paesi europei hanno esercitato forti pressioni per rafforzare la loro capacità repressiva) impiegati nella sorveglianza, con il supporto pure dell’Italia che ha iniziato a schierare le sue truppe in Libia e in Niger. E anche Frontex collabora sempre di più con i paesi terzi, effettuando operazioni congiunte nei loro territori: dal 2010 al 2016 ha coordinato quattrocento operazioni di rimpatrio forzato, di cui centocinquantatre solo nel 2016.

 

“Questa ricerca rivela una politica di interazione dell'UE con la regione a lei più vicina ormai quasi ossessionata dal controllo della migrazione, indipendentemente dai costi per il Paese o per i profughi forzati. Si tratta di un concetto di sicurezza limitato e fondamentalmente controproducente perché non affronta le cause profonde che spingono le persone a migrare e, rafforzando direttamente o indirettamente le forze militari e di sicurezza nella regione, rischia di esacerbare la repressione e alimentare i conflitti che porteranno ad ancora più rifugiati.

 

È ora di cambiare rotta. Piuttosto che esternalizzare confini e muri, dovremmo portare al di fuori dei confini dell’Europa la vera solidarietà e il rispetto dei diritti umani", ha dichiarato il curatore della ricerca, Mark Akkerman.

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