di Antonio Rei

Sullo ius soli tutti parlano, ma pochi conoscono. È uno di quegli argomenti apparentemente semplici, su cui ognuno si sente autorizzato a rigurgitare un giudizio sommario senza aver mai letto nulla. E così, da destra, arriva il solito tsunami di sciocchezze figlie dell’ignoranza.

A ingenerare l’equivoco sono stati soprattutto Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che a più riprese hanno parlato di “cittadinanza automatica agli immigrati”, nel tentativo di fomentare la paura degli elettori. Il ragionamento è elementare: se facciamo diventare immediatamente italiano chiunque nasca in Italia spalanchiamo le porte agli immigrati di mezzo mondo, che non vedranno l’ora di portare le proprie donne a partorire nei nostri confini per assicurarsi un lasciapassare valido in tutta l’Unione europea. Non fa una piega, vero? Sbagliato: è una colossale falsità.

Chi sostiene questo punto di vista può appartenere solo a tre categorie: 1) quelli che parlano in mala fede, per portare acqua al proprio mulino elettorale; 2) quelli che parlano senza nemmeno aver letto la legge; 3) quelli che parlano dopo aver letto la legge, ma senza averla capita.

Il testo in discussione al Senato, infatti, non prevede di distribuire passaporti a casaccio, ma introduce due nuovi modi per diventare italiani. Entrambi, peraltro, più ragionevoli di quello attualmente in vigore, che concede la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri solo al compimento dei 18 anni.

Il primo è lo ius soli temperato. L’aggettivo è cruciale: significa che per far diventare italiani i propri bambini agli stranieri non basta farli nascere in Italia, magari “appena sbarcati”, come recita la vulgata fascistoide. Tutt’altro: almeno uno dei genitori deve avere un permesso di soggiorno Ue di lungo periodo. Si tratta di un documento dalla durata illimitata, che non dev’essere rinnovato e che viene rilasciato solo ad alcune condizioni: lo straniero dev’essere residente legalmente in Italia da almeno cinque anni (senza interruzioni significative), deve superare un test di conoscenza della lingua italiana, avere un’abitazione idonea in base a requisiti previsti dalla legge e un reddito annuo non inferiore all’importo dell’assegno sociale Inps (che nel 2017 ammonta a 5.824,91 euro).

Quindi i figli degli immigrati irregolari (a proposito: non si dice “clandestini”) non diventeranno affatto italiani automaticamente. E nemmeno i bambini degli immigrati regolari ma con un permesso di soggiorno temporaneo. E neanche quelli di chi ha un permesso di soggiorno illimitato ma si è stabilito in Italia da meno di cinque anni. Quindi chi usa toni da crociato per scagliarsi contro l’invasione dei saraceni racconta un mucchio di balle.

La seconda novità è invece lo ius culturae. In questo caso il minore straniero nato in Italia – o che vi ha fatto ingresso entro il 12esimo anno di età – diventa italiano se ha frequentato regolarmente uno o più cicli scolastici o di formazione professionale nel territorio nazionale e per almeno cinque anni.

Ius soli e ius culturae, inoltre, non prevedono nulla di automatico: per ottenere la cittadinanza servirà una dichiarazione di volontà in tal senso espressa da uno dei genitori entro il 18esimo compleanno del figlio. In alternativa, è il diretto interessato a poter chiedere la cittadinanza entro due anni dal momento in cui diventa maggiorenne.

Infine, un’altra variante dello ius culturae prevede che possa diventare italiano lo straniero che soddisfi alcuni requisiti: aver fatto ingresso nel territorio nazionale prima di aver compiuto 18 anni, essere legalmente residente in Italia da almeno sei anni e aver frequentato un ciclo scolastico o di formazione professionale con il conseguimento del titolo conclusivo.

Insomma, affermare che l’Italia stia per adottare lo ius soli puro, sul modello di quello in vigore negli Stati Uniti, è gravemente scorretto.

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