di Tania Careddu

Fra la potenza espressiva che umanizza il fenomeno delle migrazioni e l’esuberanza comunicativa sul sospetto nei confronti di salvati e salvatori, si muove il racconto delle operazione di ricerca e soccorso in mare (SAR) dei migranti che, più di ogni altro aspetto – dalla gestione dell’accoglienza fino all’asilo politico - incornicia i volti e le storie delle persone che arrivano sulle coste italiane.

All’insegna del riconoscimento e dell’umanità, la narrazione dei salvataggi, dei naufragi e degli arrivi racconta di esseri umani più che di migranti e profughi, rendendo le operazioni di soccorso l’unica sfaccettatura del fenomeno migratorio estranea al conflitto politico e immune da accuse e attacchi delegittimanti.

Fino a quando il cambiamento del frame comunicativo, in seguito alla pubblicazione del documento Risk Analisys Report di Frontex, svuota di senso riconoscimento e umanità e contamina la percezione della pubblica opinione: da dimensione umanitaria a securitaria, dal soccorso di persone in mare al controllo dei flussi e dall’accoglienza alla fortezza.

Prima di allora e che il racconto spostasse il fulcro dell’azione sul ruolo dei controlli alle frontiere, sulle politiche per disincentivare le partenze, sugli accordi tra stati per bloccare il transito dei migranti, sia sulla carta stampata sia sui notiziari televisivi, la narrazione era intrisa di sofferenza, di pietas e di solidarietà, priva di critiche e polemiche, che include anche lo sguardo di speranza di coloro che sono giunti sulle coste del Belpaese.

‘Sui barconi paura e rinascita’, si legge nella ricerca “Navigare a vista”, condotta dall’Osservatorio di Pavia, raccontate dalle voci dei protagonisti stessi della ricerca e del soccorso, di chi li accoglie e dei migranti: mani che li accolgono a bordo, voci che urlano dalle barche alla salvezza e sommozzatori che recuperano persone di tutte le età. In questo scenario, fra una narrazione empatica e la spettacolarizzazione del dolore, l’obiettivo dei media è coinvolgere emotivamente lo spettatore, rendendo opaca la linea di demarcazione tra diritto di cronaca e sensibilizzazione circa la gravità di quanto accade nel Mar Mediterraneo.

Che, quando il soccorso è andato a buon fine, ha il suono di un inno alla vita: le immagini che passano sono rassicuranti e tranquillizzano le coscienze perché capaci di far sospendere il giudizio sul fenomeno dei migranti. Producono empatia per le vittime di viaggi disperati alla ricerca di una calda accoglienza e di gratitudine verso i soccorritori, ‘angeli del mare’ che, dopo le accuse infondate rivolte alle ONG, perdono le ali. Un mutamento causato da un registro narrativo distorto, che origina dalla pigrizia di alcuni giornalisti che preferiscono inseguire notizie urlate e votate alla caccia alle streghe, il quale ha dato luogo a una scarsa conoscenza del fenomeno a discapito di un approccio orientato all’approfondimento.

Bisognerebbe leggere il diario di bordo per rimanere esseri umani: “io credo che, in questo contesto (a bordo della Vos Prudence, ndr), anche gente respingente non possa far altro che subire la responsabilità umana nei confronti di queste persone”, racconta il medico di MSF, Stefano Geniere Nigra, che dice: “Vedere il viso di persone esattamente come te che si tramuta nell’arco di dieci metri, quando salgono sulla nostra imbarcazione - dalla disperazione e dalla paura più totale alla gioia e alla speranza - è un cambiamento talmente repentino e ripetuto che non ti può lasciare indifferente. E ti coinvolge sia prima che dopo (il salvataggio). Sei coinvolto in questa trasformazione”.

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