di Cinzia Frassi

Piergiorgio Welby è morto. Aveva 61 anni. Qualcuno ha esaudito le sue volontà staccando la spina, dopo la sedazione somministrata dal medico anestesista Mario Riccio, membro della Consulta di Bioetica di Milano. Poche ore fa in una conferenza stampa, Riccio ha dichiarato che “Welby ha accettato la sedazione per via venosa così gli abbiamo somministrato un cocktail di medicinali. L'operazione è durata quaranta minuti. Contemporaneamente abbiamo staccato il respiratore. Tengo a precisare che le due operazioni sono avvenute simultaneamente". La notizia arriva nel pieno delle polemiche più accese e ci lascia con il fiato sospeso. Marco Pannella, Presidente dei Radicali, ha dato la notizia dai microfoni di Radio Radicale. Lascia sconcertati questo evento, nonostante le attese, la volontà di Piero, le sue richieste di staccare quella spina che gli permetteva di respirare. Fin dalla sua lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la battaglia personale di Piergiorgio, era diventata politica, nel tentativo di richiamare questo paese, cittadini e istituzioni, alla responsabilità più che alla necessità di trovare una soluzione chiara e praticabile per chi come lui vuole decidere liberamente della propria vita, di smettere di soffrire, di addormentarsi senza dolore. Così è stato e qualcuno quindi gli avrebbe consentito di arrivare proprio là dove aveva chiesto inutilmente di arrivare. "Oggi il silenzio, domani le parole" è stato il solo, commosso commento di Pannella. Inutile, dunque, il suo ricorso al giudice che si toglie dagli impicci con argomentazioni alquanto contraddittorie. Prima fra tutte quella con la quale riconosce che il consenso informato ha “spostato il potere di decisione dal medico al paziente". Sordo ai principi costituzionali, alla volontà di rifiutare le cure del paziente e alle sue richieste, al codice deontologico, si appella alla mancanza di una legge applicativa in materia, che gli avrebbe concesso con un’operazione aritmetica di uscire dall’imbarazzo, dichiarando semplicemente di non poter fare altro che applicare la legge, mestiere nobile cui sarebbe stato chiamato. Ahimè, così non è.

Ma ancora, fin da quella lettera al Presidente della Repubblica, abbiamo assistito al raccapricciante spettacolo della politica scivolare ancora una volta sulla classica buccia di banana oscurantista, cattolica, inzuppata di opportunismo bigotto. Si rispolverano vecchi escamotage sotto il segno del pietismo più prevedibile, sperando che il tempo intervenga a risolvere proverbialmente tutti i mali, come forse è effettivamente avvenuto. Inutile ricordare i dibattiti cui abbiamo assistito che privilegiano il tema dell’eutanasia – contro la quale si dichiarano pure gli insospettabili - e la “sacralità” della vita ad ogni costo, che comunque non sono loro a pagare. Poche e solitarie le voci fuori dal coro che accompagnavano Piergiorgio nella sua battaglia.
Dalla politica “confusa” alle dichiarazioni del Papa il passo è breve e ci ha offerto, e continuerà a farlo, uno spettacolo poco entusiasmante delle istituzioni e della loro laicità.

E pensare che solo poche ore fa era arrivato il parere dei cinquanta saggi del Consiglio Superiore di Sanità. Loro, gli esperti, avevano stabilito non si sa bene come che “quella di Welby è una situazione clinica devastata ma relativamente stabile”. Questa la dichiarazione del presidente del Css, Franco Cuccurullo, secondo il quale per Piergiorgio non ci sarebbe stato “un immediato pericolo di vita”. Sconcertante quanto fuorviante soprattutto il fatto che il Consiglio abbia sentenziato che le condizioni in cui si trovava Welby non erano definibili come accanimento terapeutico. Incomprensibile leggere che secondo loro “solo quelli in cui il paziente è sottoposto a trattamenti sanitari in eccesso rispetto ai risultati ottenibili e non in grado, comunque, di assicurargli una più elevata qualità della vita residua in situazione in cui la morte sia imminente e inevitabile”.

Mentre il ministro della Salute Livia Turco si rallegra del “parere molto importante” del Consiglio, gli uffici di presidenza delle commissioni Affari sociali e Giustizia della Camera stabiliscono di non procedere ad alcuna indagine conoscitiva sull’eutanasia clandestina, propendendo per una serie di audizioni. Anche qui tirarsi indietro è meglio che rischiare di impantanarsi.

Piergiorgio non poteva tirarsi indietro, il suo destino era chiaro come la sua volontà, che ha trovato come realizzarsi. La sua battaglia e la sua forza forse serviranno a mettere al centro della vita “l’uomo”, la sua dignità e il riconoscimento che ad essere determinante è la scelta personale di ognuno, senza che altri si arroghino il diritto, per partito, per santità o per entrambi, di mettersi comodamente al suo posto.

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