di Tania Careddu

Tremila e settecentotre pratiche legali, in tutta Italia, a difesa degli ultimi. Di coloro che vivono in strada, per il 52 per cento di origine extra Ue, aumentati rispetto a tre anni fa, e mille e centoundici italiani che si sono rivolti ad Avvocati di Strada, un’associazione senza fini di lucro che dal 2007 ne segue le pratiche legali. Nel 2016, mille e trecentosettantasette sono state di diritto civile, mille e cinquantadue di diritto amministrativo, raddoppiate, trecentosessantotto di diritto penale e novecentosei di diritto dei migranti.

Per rivendicare il diritto alla residenza, per risolvere sfratti e locazioni, per il diritto del lavoro, per questioni di pensioni e invalidità o per debiti nei confronti dei privati. Ma la misura delle condizioni in cui versano i senza fissa dimora è indicata dalle pratiche relative ai diritti di mantenimento, alimenti e assegni divorzili, per successioni e problematiche ereditarie, per potestà genitoriale o ricerca dei parenti in vita.

Casi che confermano quanto, troppo spesso, il fallimento di un matrimonio possa portare, soprattutto in assenza di un’adeguata rete familiare o di interventi mirati del welfare, a situazioni di estrema povertà e disperazione. Persone completamente annullate dalle loro famiglie, alle quali è stato negato il diritto a un’ereditarietà che, nella maggior parte dei casi, li avrebbe aiutati a uscire dalla strada, luogo in cui, dopo tanti anni, perdono totalmente il rapporto con i propri affetti.

Tra le pratiche di diritto amministrativo, invece, ce n’è una che sovrasta tutte e che fa il paio con quella riguardante le cartelle esattoriali: quella relativa alle sanzioni per mancanza di titolo di viaggio sui mezzi pubblici, che sono passate dalle trecentocinque del 2005 alle ottocentosettantaquattro di quest’anno: multe non pagate che si accumulano negli anni fino a costituire debiti di migliaia di euro, inaffrontabile per chi vive in strada e ostacolo insormontabile per chiunque di loro voglia ricominciare una vita comune.

Continua a essere alto il numero dei fogli di via che vengono notificati alle persone senza casa affinché si allontanino dalla città dove vivono: una misura ingiustamente punitiva alla quale, per il costo eccessivamente elevato, non riescono ad opporvisi.

Dalle pratiche di diritto penale emerge una vera e propria discriminazione per l’ovvia impossibilità di richiedere pene alternative alla detenzione a causa dell’inidoneità del domicilio, con il risultato di dover scontare in carcere pene per le quali la legge prevedrebbe l’opportunità (per gli altri) di una misura meno afflittiva. Si devono difendere, poi, da un errato luogo comune secondo il quale le persone senza fissa dimora sono pericolose e dedite alla delinquenza.

Senza riscontri nella realtà nella quale, invece, risulta vero il contrario: chi vive per la strada non è tanto autore quanto vittima di atti di aggressione, minacce e molestie. Tanto che nel 2016 si sono verificati quarantanove episodi, da leggersi per difetto: certamente più di qualcuno non avrà avuto la capacità di denunciare.

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