di Tania Careddu

“Oggi ho letto sul vostro sito che la Corte costituzionale ha accolto l’istanza per lo smantellamento del parto segreto. Come avrete capito, io sono una madre segreta. Quando ho letto la notizia, il mio mondo si è dissolto in un attimo, ho guardato i miei famigliari, ignari, e ho visto la fine della vita che, con fatica, mi sono costruita e guadagnata (…). La mia vita, ormai, dipende dal legislatore”.

La risposta alla sentenza emessa dalla Corte costituzionale, nel dicembre appena passato, che viola il patto stipulato quarant’anni orsono tra le partorienti e lo Stato, a tutela della segretezza del parto, è tutta in questa (e altre) lettere, arrivate all’Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie, che, da sempre, lotta per l’anonimato delle mamme che non vogliono riconoscere i loro nati.

“La Corte costituzionale, con una sentenza a dir poco incredibile, ha voluto smantellare una delle poche buone leggi in vigore (…). Uno Stato non può tradire in questo modo un patto stipulato che mi ha portato a fare questa scelta, anche se imposta, che mi ha permesso di non abortire”.

Lo scoramento delle madri segrete – novantamila dal 1950 a oggi – ha origine da quella sentenza in base alla quale loro potranno essere rintracciate, su richiesta dei nati fattisi maggiorenni, attraverso una procedura che le espone alla loro individuazione, seppure indirettamente, da parte di terzi, coinvolgendo un numero elevato di soggetti, e con esiti imprevedibili, e si fa attualissima con l’ultima proposta di legge, la numero 1978, approvata alla Camera e ora al vaglio del Senato, che andrebbe a sfregiare un diritto garantito per cento anni dalla legge numero 2838 del 1928 e confermato dalla numero 196 del 2003.

E, sebbene all’articolo 1, il disegno di legge fermo al Senato stabilisca che il reperimento, avviato da un procedimento di interpello da parte dei nati, avverrebbe con modalità che assicurano la “massima riservatezza e avvalendosi preferibilmente del personale dei servizi sociali e tenendo conto dell’età, dello stato di salute psico-fisico della madre nonché delle sue condizioni famigliari, sociali e ambientali”, comunque non garantisce alcuna riservatezza considerato che per appurare tutte le condizioni elencate è necessario, prima, identificare le donne.

E che dire della riservatezza che riserva il passaggio che disciplina che, per evitare di essere interpellate su richiesta del proprio nato diventato diciottenne, debbano “entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, confermare la propria volontà comunicandola al Tribunale per i minorenni del luogo di nascita del figlio”?

Sottile confine, quello fra il diritto della madre al parto anonimo e quello del figlio di conoscere le proprie origini biologiche, ancora così netto se non si supera quel difetto culturale dominante e anacronistico che considera i figli in base al vincolo di sangue e dimenticando che, con la legge numero 219 del 2012, tutti i nati sono figli senza ulteriori aggettivazioni (adottivi o biologici) delle donne che li allevano secondo il vincolo genitoriale. Non secondo quello genetico.

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