di Tania Careddu

Arrivano alla fatidica prima volta a diciassette anni compiuti e, nella maggior parte dei casi, con un partner al quale sono legati da un rapporto affettivo. Tanto di cappello ai giovani (dai dodici ai ventiquattro anni) italiani, intervistati dal Censis nell’indagine “Millennials e vaccinati?”, che però, quanto al bagaglio di informazioni riguardanti la sessualità con cui si presentano al primo appuntamento, sono gravemente carenti.

Sempre pronti, almeno, a evitare gravidanze indesiderate ma poco (o per nulla) attenti a proteggersi dalle infezioni o malattie sessualmente trasmissibili. Motivando la scelta con giustificazioni troppo inconsapevoli, finanche a sostenere che certe patologie sono contagiose solo se si hanno rapporti con le prostitute o collocando metodi specificamente anticoncezionali fra gli strumenti utili a prevenire le malattie.

Eppure, tutti ammettono di averne sentito parlare, prima nei media soprattutto i giovani del Centro e delle Isole e poi a scuola, principalmente quelli del Nord Est e del Nord Ovest, ma la menzione più ricorrente è all’Aids. Pochi sanno, forse perché solo il 9 per cento circa di loro considera fonte di informazione i professionisti della salute e solo il 41 per cento vi si è recato in visita, della sifilide o del molto diffuso papillomavirus, causa principale di tumori. Troppi (ancora) credono che questo virus colpisca solo le donne o che possa essere trasmesso attraverso trasfusioni di sangue e scambi di siringhe, attraverso l’uso di servizi igienici comuni o di oggetti contaminati. C’è ancora chi pensa possibile, per fortuna una percentuale molto contenuta, il contagio attraverso il contatto ravvicinato con un bacio, una stretta di mano o uno starnuto.

Però c’è una quota consistente di chi ha le informazioni giuste, che conosce l’esistenza del vaccino, soprattutto fra i più piccoli e fra le ragazze, con tutta probabilità perché dal 2008 per quelle del dodicesimo anno d’età è disponibile gratuitamente, grazie al contributo di genitori e medici di famiglia. Responsabili entrambi delle propensioni e dei comportamenti dei giovani che risentono dell’atteggiamento culturale complessivo che, rispetto alla vaccinazione, non è tendenzialmente troppo favorevole, soprattutto al Sud e nelle Isole contrariamente al Nord Est, in cui il vaccino contro l’Hpv è riconosciuto dai giovani come un ottimo antidoto di prevenzione. Gli altri indicano di non fidarsi per paura degli effetti collaterali, perché la protezione dura poco e perché non elimina la necessità di effettuare il pap test.

Tanto per chiarire, “le infezioni sessualmente trasmesse costituiscono un insieme di malattie molto diffuse che interessano milioni di individui, ogni anno, in tutto il mondo. Esse hanno un forte impatto sia a livello individuale che di sanità pubblica e, tra l’altro, favoriscono l’acquisizione e la trasmissione dell’HIV”, dice il direttore generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute, Ranieri Guerra.

E “l’insufficiente conoscenza di queste infezioni e di come prevenirle è tra i principali problemi”, spiega il professore ordinario di Endocrinologia dell’università La Sapienza di Roma, Andrea Lenzi. Che continua: “La maggior parte delle informazioni che i giovani hanno derivano, infatti, dagli amici, seguiti dai media e dai social network, lasciando spazio a molta spazzatura sul web. Parlando di papillomavirus e di maschi, per esempio, spesso i ragazzi non sospettano minimamente di poter essere portatori di un’infezione che può anche causare un tumore”.

Ovviamente “ciò richiama l’importanza di attivare canali di informazione pensati specificamente per i giovani, per proteggere la loro salute, la loro fertilità, il loro futuro”, conclude il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi.

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