di redazione

La storia di Tiziana Cantone è su tutte le prime pagine. Si è uccisa il 13 settembre con un foulard  nello scantinato del suo palazzo a soli 31 anni. Bellissima e vittima di un video hard cui si era esposta con ingenuità: “Stai facendo il video? Bravo”. Questa la frase che l'ha tormentata, rimbalzata su siti di gossip e social,  impedendole ormai di condurre una vita normale.

Additata in tutti i modi possibili: dall' attrice hard alla donna fedifraga e di facili costumi, aveva avuto la sua rivincita legale, citando in giudizio i giganti di internet e ottenendo l'autorizzazione a cambiare identità. Eppure non è bastato.

Napolitan.it scrive: “Il suo avvocato, Roberta Foglia Manzillo, ha citato in giudizio, assieme ai diffusori dei video, Facebook Ireland, Yahoo Italia, Google e Youtube, oltre alle persone responsabili della diffusione in rete.

Il giudice del tribunale di Aversa, Monica Marrazzo, ha riconosciuto la lesione del diritto alla privacy della donna, contestando al social di non aver rimosso il contenuto appena ha saputo che i contenuti pubblicati erano lesivi della sua reputazione.”

La storia, rispetto ad altre note alla cronaca in cui momenti d'intimità erano stati immortalati da video come arma di ricatto, ha la sola differenza che Tiziana in queste scene non è vittima di violenza, ma è consenziente al rapporto con il suo amante. E' questo ad inchiodarla all'incubo che la condanna a morte. C' è di mezzo il potere dei mezzi di comunicazione attuale, c'è di mezzo la conflittualità non risolta tra una società che decanta la privacy dove tutti però fanno a gara a mettere sulla bacheca facebook la propria vita privata. C'è questo di contemporaneo.

Ma c'è un tema vecchio come il mondo nella storia di Tiziana. C'è una donna che è giovane e bella e che accetta in libertà di vivere un rapporto intimo con un uomo che non è il suo compagno ufficiale. Questo scatena i riti più antichi dell'insulto. Dei maschi per essere piu chiari. Solo che ora non si limitano ai cori paesani agli angoli delle vie o dietro le persiane. Viaggiano ad alta velocità e arrivano ovunque, coperti dall'impunità del mondo virtuale.

La storia di Tiziana è quindi la storia della comunicazione declinata a pettegolezzo ai tempi del social, il rivendicato diritto all'oblio che fa a pugni con il mondo del tempo sempre attuale che internet ha portato.

Ma è anche una storia antica, di canoni arretrati e maschilisti. Non a caso del ragazzo con cui Tiziana ha un rapporto non si parla, che i suoi genitali figurino in un video non suscita interesse nel web.  E' lei la star di ogni peggiore pulsione. Perché internet non cambia gli stereotipi: all'uomo è permesso, alla donna no.

In tribunale Tiziana ha citato tutti i colpevoli, tranne la tradizione dei generi che vede ancora e sempre le donne colpevoli della loro libertà sessuale. Non c'era Facebook quando la donna fedifraga veniva lapidata dagli uomini. Era il vangelo di Giovanni: un testo di secoli fa. E ancora oggi la verità appare in tutta la sua nettezza. Non c'è diritto all'oblio né alla privacy, se non c'è prima il diritto all'eguaglianza.


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