di Tania Careddu

Costretti a vivere in una società del “rischio e liquida” (citando il sociologo Bauman), che li ha privati di qualsiasi stabilità, i giovani sono pieni di preoccupazioni. L'assenza di certezze, lavorative ed economiche in primis, di modelli, di riferimenti ideologici e culturali, diffonde un senso di precarietà trasversale. Preoccupati per la propria non autosufficienza, per la non disponibilità di un'abitazione, per la salute e per i futuro di (eventuali) figli.

Li rendono incerti, secondo quanto si legge nell'indagine “Sei sicuro?”, svolta da Adoc e realizzata da Eures, le prospettive economiche e lavorative: otto giovani su dieci lamentano la diminuzione del benessere e dichiarano di essere molto preoccupati per la propria situazione pensionistica, l'84,5 per cento teme la disoccupazione e l'84,9 per cento la precarietà occupazionale.

Meno allarmati i dipendenti statali, di più quelli privati e i lavoratori autonomi; più i giovani sotto i ventiquattro anni che i trentenni, maggiormente in ansia per il futuro dei figli (sempre eventuali). Accusano la mancanza di progettualità: impossibile, d'altronde, farci i conti se l'entrata media mensile è pari a settecentottantasette euro e il 37,5 per cento dispone di meno di cinquecento euro al mese.

E, nonostante tutto, risparmiano: sette giovani su dieci mettono da parte, mensilmente, una quota, pari al 17,3 per cento in media, dei loro introiti. Lo fanno per poter disporre di un fondo di sicurezza per far fronte a impreviste situazioni di difficoltà, per soddisfare i propri desideri di consumo, per raggiungere l'autonomia dalla famiglia di origine e per non sprecare denaro in acquisti inutili.

Sono consapevoli, complici le dichiarazioni del presidente dell'INPS, Tito Boeri, in merito alla difficoltà per i giovani senza un lavoro stabile di versare i contributi in maniera continuativa, che la loro pensione sarà minima e che il sistema previdenziale sarà in grado di garantire “poco” un adeguato livello di benessere ai futuri pensionati.

E sebbene le condizioni siano evidentemente penalizzanti, i giovani, secondo quanto riporta lo studio “Rapporto Giovani 2016”, realizzato dall'Istituto Toniolo di Milano, cercano di cogliere opportunità che dimostrino che un futuro diverso è possibile. Basta munirsi di disponibilità ad adattarsi, acquisire solide competenze al di là del titolo di studio, fare attenzione al reddito e alla sua continuità prima ancora che alla realizzazione personale. Discutibile ma tant'è: il 91 per cento di loro considera il lavoro come uno strumento volto a procurare reddito, cruciale per affrontare il futuro e costruirsi una vita familiare.

E così, la precarietà da economica diventa esistenziale, immanente. Non resta loro che attrezzarsi della capacità di resilienza e di adattamento. Una strategia difensiva che, da un lato, li costringe a rinviare scelte di piena realizzazione, e dall'altra a recuperare volontà di non subire solo i cambiamenti ma coglierne anche le opportunità.

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