di Tania Careddu

Protagoniste del welfare nazionale, garantiscono il benessere di tutti, pagando un costo personale e professionale altissimo. Le mamme italiane, circa dieci milioni, sebbene ormai i padri siano sempre più orientati alla condivisione del lavoro di cura dei figli, vivono stette in un’ingiusta asimmetria. Un’iniqua distribuzione dei compiti che ha, anche, conseguenze sul tasso di occupazione femminile e sullo svolgimento della vita professionale, specialmente per le lavoratrici autonome.

Per le altre, orari di lavoro troppo lunghi o rigidi e lavoro pomeridiano o serale, le obbligano, nella peggiore delle ipotesi, a rinunciare all’impiego e, in quella migliore, a ricorrere al part time o a contratti che permettano una maggiore flessibilità.

Scelte penalizzanti, per il 30 per cento delle madri e per le generazioni nate dopo il 1964, sul futuro professionale e previdenziale, alle quali tentano di ovviare facendo ricorso alla rete famigliare, soprattutto in risposta alla domanda insoddisfatta di posti negli asili nido, virtuosa l’Emilia Romagna, pollice verso per la Calabria, e per la retta toppo alta. E però, la soluzione è ‘a breve termine’ visto il progressivo invecchiamento della popolazione e considerata la crescente semplificazione delle strutture familiari.

E, sebbene le aziende, complice la diffusione di una cultura delle responsabilità sociale, sopperiscono alle carenze del welfare pubblico, con strumenti per tutelare il benessere delle lavoratrici mamme, vedi la flessibilizzazione dell’orario, i servizi di asili nido, quelli sociali e di sostegno, a risentire della condizione economica e sociale delle madri, anche le potenzialità di crescita dei figli.

Per beneficiarne, le mamme devono poter contare su uno stato di benessere, consistente, secondo quanto si legge nel rapporto 2016 Equilibriste, redatto da Save the children, in una sistemazione abitativa di qualità, cioè non in una situazione di sovraffollamento che, qualche anno fa, interessava il 57 per cento di loro, avere una casa di proprietà libera da mutuo e non avere difficoltà economiche.

Le quali aumentano all’aumentare del numero dei figli e si riescono a tamponare man mano che cresce il livello di istruzione (sebbene, pure, una mamma con un livello medio alto su cinque subisce l’impatto delle spese per l’affitto della casa e di quelle per i figli). Si riduce la capacità di risparmio: tre mamme su quattro spendono più della metà del proprio reddito e più di quattro su dieci hanno problemi ad affrontare spese impreviste oltre gli ottocento euro.

Ma, nonostante tutto, soddisfatte: per il loro benessere, i rapporti familiari e con gli amici sono un insostituibile sostegno. E, tutto compreso, stanno meglio le mamme del Trentino Alto Adige, quelle della Valle d’Aosta, dell’Emilia Romagna, della Lombardia, della Toscana, del Piemonte, del Friuli Venezia Giulia e della Liguria.

Più critica la situazione di quelle che vivono in Basilicata, in Sicilia, in Campania e in Calabria. Per tutte, è evidente la persistente complessità dell’essere madri in Italia e, contemplato l’inequivocabile svantaggio economico, sociale e professionale con cui devono fare i conti, è innegabile, seppure inespresso, il potenziale di crescita di cui sono portatrici. Resilienza, empatia e capacità d’ascolto, dimensioni che la maternità (sana) svela, potrebbero apportare, se ben utilizzate, effetti positivi sul mondo a tutto tondo. E a vantaggio di tutti.

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