di Tania Careddu

Ogni anno, in Italia, si formano quattromila nuove famiglie adottive, di cui tre su quattro per adozione internazionale. Tra il 2010 e il 2013, secondo quanto si legge nel documento redatto dal Miur, che stabilisce le Linee guida per favorire il diritto allo studio dei bambini adottati, sono stati accolti circa quattordicimila bambini con l’adozione internazionale e suppergiù quattromila con quella nazionale. Nel 2012, l’età media dei bambini era fra i cinque e i sei anni.

Un’età di ingresso particolarmente critica per la coincidenza con l’inserimento nel mondo dell’istruzione, in cui il confronto dei bambini con il sistema scolastico italiano si pone in maniera urgente. Strumento a favore dell’infanzia perché contribuisce alla crescita culturale e sociale del nostro Paese, la realtà dell’adozione presenta, nella fattispecie, una varietà di situazioni che possono variare da un estremo di alta problematicità a un altro di pieno adattamento.

Ma, sebbene non sia raro incontrare minori adottati portatori di un benessere psicologico e con performance scolastiche nella media, se non addirittura superiori, è innegabile che, per il fatto di aver sperimentato esperienze traumatiche prima dell’arrivo nella nuova famiglia, ce ne siano altrettanti che presentano fattori di vulnerabilità. Per un vissuto comune segnato dalla dolorosa separazione dai genitori biologici e, talvolta, dai fratelli, da solitudine, da lunghi periodi di istituzionalizzazione, da maltrattamenti fisici e violenze psicologiche e, non ultimo, da precedenti esperienze di adozione fallite.

Quelli provenienti da adozione internazionale, poi, devono fare i conti con un’ulteriore complessità: contesti completamente nuovi, differenze culturali e somatiche, cambiamenti linguistici, climatici, alimentari drastici che vengono affrontati lasciandosi alle spalle pezzi di storia incompresa. Integrare l’originaria appartenenza etnico-culturale con quella della famiglia adottiva e del nuovo contesto di vita rappresenta una grossa spinosità: un’ambivalenza verso la cultura di provenienza con un’alternanza di momenti di nostalgia a fasi di negazione.

Ma la loro prima lingua la perdono velocemente, imparando da subito le espressioni quotidiane e il senso delle conversazioni comuni, incontrando, piuttosto, delle difficoltà nell’espressione dei concetti più astratti, che sfocia in rabbia e in una gamma di emozioni negative. Emozioni che, è noto ormai, hanno un ruolo fondamentale nella strutturazione della memoria, rendendola, altresì, duratura.

Perciò va da sé che, per il loro vissuto, molti bambini adottati possano avere problematiche nella sfera psico-emotiva tali da interferire con le capacità cognitive: deficit nella concentrazione, nell’attenzione, nella memorizzazione, appunto, nella produzione verbale e scritta e in alcune funzioni logiche. Solo sintomi che, però, sono gli unici menzionati nelle cartelle cliniche, omettendo le diagnosi.

Senza considerare che, spesso, i bambini non vengono iscritti all’anagrafe al momento della nascita per cui l’età è presunta e, a volte, si rilevano ex post discrepanze di oltre un anno fra l’età reale e quella attribuita ai bambini, i quali, nel periodo precedente l’adozione, è probabile siano denutriti e con uno sviluppo psicomotorio tali da rendere complicata l’individuazione dell’età.

Alcuni arrivano da Paesi rurali, con strutture sociali fragili, un tasso di analfabetismo rilevante e di abbandono scolastico precoce. Quelli che arrivano nelle famiglie intorno ai dieci anni, poi, hanno un’età complessa di per sé, nella quale la strutturazione dei legami affettivi e famigliari si scontra con la fisiologica necessità di crescita e di indipendenza.

Il sopraggiungere della preadolescenza e della pubertà può essere problematico per la definizione della loro identità legata ai cambiamenti del corpo, ai rapporti con i coetanei e, soprattutto, con quelli di sesso diverso, e con il contesto sociale. Tutti fattori che possono interferire con le capacità di apprendimento. Di tutti. Anche (anzi, soprattutto) di coloro che dai genitori biologici non si sono mai separati.

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