di Rosa Ana De Santis

Che il patto generazionale fosse saltato era chiaro da tempo. Che l'ascensore sociale avesse le porte bloccate era ormai evidente. Che i padri stessero meglio dei propri figli è il triste paradosso che ci ha consegnato la crisi economica, divorando - questa forse la novità storica - gli stessi strumenti utili a risolverla: quelli della politica che non c’è più.

Il caso italiano, con la crisi di governo dettata dalla regia Berlusconi,  è forse il più sciagurato degli scenari possibili e mentre la mezzanotte ci ha messo le mani in tasca aumentando l’IVA di un punto, l’ISTAT ha sfornato la misura della disperazione anche sul futuro.

I dati sulla disoccupazione sono tornati a raggiungere i livelli del 1977, con un aumento vertiginoso di quella giovanile. Solo ad agosto è stato raggiunto il tetto record del 40%. Questo dice il rapporto ISTAT “Occupati e disoccupati” in cui al dato allarmante della crisi che ha generato una contrazione degli occupati, si unisce - come dichiara anche il CNEL - una distribuzione sul territorio che penalizza ancora una volta di più il Mezzogiorno, spaccando il paese sempre di più.

In quattro anni i disoccupati sono aumentati di oltre un milione, ma è ancora più grande la quota di quanti o non cercano attivamente o sono pronti per essere reintrodotti nel circuito produttivo. La difficoltà occupazionale sta crescendo sempre di più, colpendo soprattutto i giovani e procurando una situazione sociale allarmante come mai finora.

Non c’è traccia di politiche attive per il lavoro, di stimoli alla crescita, di riduzione del cuneo fiscale come motore per l’abbassamento possibile del costo del lavoro. Non s’intravedono manovre economiche destinate a rilanciare i consumi e, con essi, l’occupazione. Tanto meno appaiono all’orizzonte gli strumenti indispensabili a riequilibrare le storture del mercatismo, quali il reddito di cittadinanza e la riforma del welfare.

Perché la crescita del PIL potrà portare numeri migliori non prima del 2020, ma nel frattempo occorrerebbe uno stato sociale in grado di gestire il carico di povertà crescente su fasce della popolazione sempre più vicine alla povertà. E’ in questo scenario che la crisi della politica italiana assume connotati di gravità assoluta, mettendo a rischio la tenuta democratica dell’Italia e non soltanto l’economia nazionale.

Lo schock che il governo Letta vive in queste ore, le manovre dei rimpasti di casa Pdl dovrebbero servire a traghettare il Paese verso le riforme promesse. L’idea che il Paese si ritrovi senza governo proprio adesso è certamente lo scenario peggiore possibile, al netto di qualsiasi semplificazione donchisciottesca o grillina.

Il dato della disoccupazione, che colpisce soprattutto i giovanissimi entro i 24 anni,  ci racconta di un mondo capovolto, sovvertito e per questo fermo. Un sistema in cui è saltata la solidarietà e previdenza infra-generazionale, ciò che impedisce che non siano dissipate le risorse, che i padri pensino ai figli. E’ questo processo ad esser saltato ed è difficile stabilire se questo sovvertimento sia iniziato dall’economia o dalla politica o se l’una non abbia contagiato l’altra, portandosi dentro la crisi dell’uomo del nostro tempo.

Viene in mente il titolo dell’ultimo lavoro di Massimo Recalcati “Patria senza padri” questo il titolo di un’analisi che parte dalla famiglia per arrivare alle Istituzioni e alla politica. La crisi della Patria è la crisi dei padri. E questa volta è Telemaco a partire.

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