di Rosa Ana De Santis

La mattanza estiva della cronaca non ha bisogno di particolari analisi. Dal coraggio dell’avvocato sfigurata dall’acido, Lucia Varani, alla giovanissima accoltellata da uno psicopatico, all’ultimissima notizia proveniente dalla periferia della Capitale di una donna schiacciata contro un muro dall’ex a bordo di un furgone. L’esistenza di un decreto legge ad hoc sul fenomeno non denota, beninteso, un’evoluzione di costume e civiltà, ma null’altro che la misura del ritardo culturale e sociale che vive il nostro Paese.

La Presidente della Camera, Laura Boldrini, ha stigmatizzato, parlando ad un convegno ad Istanbul sul rapporto con i media,  come la discriminazione sessista ai danni delle donne, prima di arrivare e fenomeni conclamati di violenza fisica, sessuale e psicologica, parta da lontano. Educazione, modelli culturali e soprattutto linguaggio.

Le parole non sono neutre, come da sempre contesta e analizza la filosofia di genere, nemmeno per quanto attiene al diritto vero e proprio. E’ in questa direzione che va interpretata l’attenzione e il continuo richiamo, anche simbolico, che la Boldrini fa in aula per non esser chiamata “Signor Presidente”.

La RAI ha armato, sulla scia di questa analisi, una vera e propria crociata per ripristinare un’immagine più dignitosa della donna in tv, non tanto e non solo nel ridurre l’esibizione dei corpi, gli espliciti messaggi seduttivi e sessuali che hanno “reificato” e mercificato il corpo femminile, ma anche nel rinnovare il target di tutti quegli spot commerciali che non fanno altro che riproporre cliché culturali che vanno combattuti profondamente: la donna che lava i piatti, che serve a tavola, che sta ai fornelli mentre il marito aspetta il piatto caldo.

E’ stato anche il Presidente del Senato, Aldo Grasso, a lanciare un appello di maggiore attenzione da parte dei media a tutela della donna e dei suoi diritti individuali e di genere, anche se il femminicidio, secondo la Boldrini, non è un’emergenza piombata sulla società italiana, ma un disastro annunciato. Ben il 70% delle donne uccise, va ricordato, avevano denunciato gli uomini aggressori o molestatori ben prima.

A fronte di questa inerzia di tutela giuridica è nata l’esigenza di un decreto legge che prevede pene più severe, ma che forse è ancora troppo debole sul fronte del sostegno post denuncia rispetto alla situazione dei Centri Anti violenza (500 posti letto complessivi a fronte dei 5.700 previsti dalle direttive europee) spesso con finanziamenti a singhiozzo e a rischio chiusura.

Per non parlare della protezione della donna durante tutto il percorso a partire dalla denuncia ben prima del reato vero e proprio. Pochissimi i deputati al momento del voto: forse un altro doloroso segno di una cultura visceralmente maschilista.

Bene l’impegno della Presidente Tarantola ad aumentare le donne in tv che non siano ballerine e paperine di contorno. Bene i velini di Mediaset. Saranno anche questioni di immagine, ma i simboli educano tanto quanto i fatti se sono esempi.

L’auspicio è che la legge in nuce diventi più ricca di misure concrete e che ci porti a fare un salto normativo e culturale insieme. A trovare fondi e strumenti, come già accade a Bolzano sul modello di Austria e Spagna dove appunto è obbligatorio per legge, affinché l’uomo denunciato inizi un percorso di recupero. Perché sia chiaro che la violenza è un problema tutto maschile e per  evitare che quel marito o quel padre diventi un altro dei carnefici.

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