di Rosa Ana De Santis

I fari della cronaca ormai spenti sul mare del Giglio hanno appannato i ricordi di quella notte di naufragio e disperazione. In questi due primi due giorni di udienza non arriva con la forza degli innocenti il Comandante Schettino, ma con la spavalderia di chi si atteggia a perseguitato. Sicuro, senza cedimenti, stringe la mano dei naufraghi presenti con la tranquillità di chi “ha fatto il suo dovere” e ha evitato una tragedia.

I sopravvissuti, dal canto loro, sembrano essere clementi. Forse troppo. “Non riusciamo ad odiarlo” dicono. Sono meno arrabbiati del giorno in cui in un’intervista esclusiva a “Quarto grado” il Comandate promuoveva la sua onorata carriera e il suo cordoglio fatto di lacrime vere, ma trattenute,  per le vittime.

L’indagine probatoria durerà tutta la settimana e la scatola nera, miracolosamente sfuggita ai fondali, sarà la protagonista insieme al colpaccio tanto atteso della difesa del Comandante che sperava, prima che arrivasse il parere contrario del gip, Valeria Montesarchio, di portare sul banco degli imputati il timoniere indonesiano. Questo l’asso in mano ai legali della difesa. Colui che non avrebbe compreso i comandi in inglese del Comandante, appena fatto il famoso inchino. Sarebbe stato il colpevole perfetto, se fosse stato indagato almeno un minuto.

Comandi in inglese quindi, non certo quell’impasto dialettale emerso con i primi nastri con cui  Schettino sembra uno che non sa che fare, che non coglie l’entità del danno e che solo tardi, e con modalità poco tecniche e molto improvvisate, decide di far calare le scialuppe.

Il lavoro della giustizia sembra tutto concentrato nella conta dei minuti del ritardo, sulla manovra azzardata pretesa dal maestro di sala nativo del Giglio e avallata, per tradizione, dalla Costa Crociere. E poi ancora sulle mappe forse errate e sui sistemi di allarme fuori uso della nave. Tutte probabili attenuanti. Ma non è solo su questa aritmetica della responsabilità che poggia l’accusa per cui il Comandante si trova ai domiciliari, liquidato in fretta dall’azienda cui ha già presentato ricorso.

Sulla testa 2.697 anni di carcere per naufragio, abbandono della nave e omicidio colposo plurimo. Schettino dovrebbe spiegare, ben prima dell’analisi probatoria in corso, perché in una manovra tanto delicata invece di impartire ordini a distanza, non si trovasse ai posti di comando. Perché non allertò prontamente i passeggeri dando “l’abbandono nave”, e per quale ragione, audio alla mano, sottostimò la situazione. E soprattutto perché non rimase a bordo fino all’ultimo salvataggio e preferì osservare la scena appollaiato su uno scoglio, spaventato dal buio e coperto da un k-way.

La cronaca di quella notte testimonia che la responsabilità penale si unisce a quella deontologico–morale, forse ancor più riprovevole in quella che diventerà storia di questo naufragio. Quando si ricorderà, sotto le parole infuocate del capitano De Falco, di come Schettino non fece nulla di quello che prevede il codice di condotta degli uomini e dei comandanti di mare.

Impreparazione a gestire l’allarme e fuga sono i due grandi capi d’accusa che inchiodano Schettino. Lo stesso che aspettava aiuti mentre diceva “Imbarchiamo acqua, ma è calma piatta”. Poteva essere una ecatombe sostiene il Comandante, ma poteva non succedere affatto rispondono le Capitanerie di porto se lucidità e competenza avessero guidato le manovre di una nave reclinata su un fianco a due passi dalla riva. Se il brindisi in sala ristorante fosse stato posticipato, aggiungono tanti testimoni in plancia. Se i passeggeri rimandati nelle cabine fossero stati prontamente allertati e guidati nei soccorsi invece che abbandonati a camerieri, cuochi, a parte dell’equipaggio e a volontari del coraggio, alcuni rimasti nel relitto a morire.

Quei valorosi con il giusto senso del dovere che non riuscirono a scivolare in una scialuppa e a garantirsi un salvataggio sicuro. Quelli che scelsero l’atto del coraggio e del sacrificio anche se non richiesto o dovuto. Quello che ci aspetteremmo da un Comandante che invece è solo Schettino: uno che ricostruisce la cronaca dei suoi doveri e fa calare il velo sulle sue omissioni, facendo finta che non si trovi in esse la prova maestra della sua colpevolezza o ancor peggio della sua inadeguatezza.

 

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