di Mario Braconi 

E’ un dato di fatto che le società che si occupano d’intrattenimento si stiano facendo sempre più aggressive nei confronti dei cittadini. Quando si tratta della tutela dei copyright, esse calpestano come niente fosse la legge e il buon senso pur di proteggere il conto economico delle loro società operative. In Europa, come noto, il Parlamento Europeo approverà a giugno lo ACTA, un trattato commerciale internazionale imposto dagli Stati Uniti al resto del mondo, il cui obiettivo esplicito è rendere gli Internet Service Provider responsabili per l’uso che della connessione internet fanno i loro clienti, possibilmente spiandoli e a buon bisogno censurandoli.

Il caso Golden Eye, assurto agli onori delle cronache a causa di un pronunciamento del giudice dell’Alta Corte britannica Arnold, è solo l’ultimo caso destinato a far discutere: infatti, in qualche modo segna un’altra importante sconfitta per i cittadini europei, ormai considerati solo consumatori da spremere.

Come noto, la pornografia è uno dei contenuti più fruiti in Rete. Operare in un settore praticamente esente da ciclicità e solo moderatamente impattato dalla volubilità che caratterizza il consumatore post-moderno del grasso Occidente è un vantaggio considerevole. Eppure anche le aziende dell’hard, come del resto quelle della musica e dell’intrattenimento “rispettabile”, sono ancorate ad un modello di business antiquato, destinato a soccombere alle nuove tecnologie.

Ed è così che la Golden Eye International Ltd (una casa di produzione pornografica britannica fondata nel 2009 dall’attore e produttore Ben Dover) ha intentato causa a migliaia di utenti internet che a suo dire hanno fruito illegalmente dei contenuti da essa prodotti scaricandoli da internet gratis. A quanto riporta il programma radiofonico BBC NewsBeat, la Golden Eye, che nel procedimento legale ha rappresentato anche altre dodici società del settore del porno, ha candidamente presentato in tribunale una lista di ben 9.124 indirizzi IP, sostenendo che da quelle macchine qualcuno aveva scaricato alcuni dei loro titoli senza pagare.

Una strana storia sin dall’inizio: non è infatti chiaro come abbiano fatto i pornografi a tracciare (legalmente) gli identificativi delle macchine presumibilmente utilizzate per fruire illegalmente dei filmati. A quanto risulta a Tom Espiner, senior reporter del sito britannico ZDNet UK, le società di produzione si sarebbero avvalse della consulenza di un tale Alireza Torabi. A dar credito al suo profilo professionale su Linkedin, Torabi è un ingegnere elettronico specializzato in reti, titolare di una società informatica, la NG3 Systems, produttrice tra le altre cose di un software per la gestione delle vendite di autoveicoli.

La NG3 realizza anche XTrack 3.0, un programma in grado di identificare la fonte di un file trasmesso su internet su network peer-to-peer, ovvero sul network eDonkey (usato da eMule) o mediante il protocollo BitTorrent, identificando indirizzi macchina (IP), date e tempi di utilizzo. Un vero e proprio software spia, che ficca il naso nelle macchine dei cittadini.

E’ dunque più che probabile che le “prove” fornite dai querelanti siano state ottenute in modo illegale, utilizzando dei sistemi per effettuare analisi approfondite del contenuto del traffico degli utenti: considerando la nuova tendenza alla privatizzazione della polizia in materia di violazioni del copyright, fatta propria dal legislatore da una sponda come dall’altra dell’Oceano, i pornografi di Golden Eye si potrebbero quasi definire dei campioni.

A dire il vero, si è verificato in Gran Bretagna un precedente, che avrebbe dovuto dissuadere Golden Eye & Soci da simili iniziative. Si tratta del caso dello studio legale ACS: Law, che nel 2009, dopo essersi munito delle procure di produttori cinematografici e di videogiochi si diede all’invio massivo di lettere più o meno minatorie di richiesta risarcimento a persone che a loro modo di vedere avevano violato le leggi sul diritto d’autore.

Pare che alla ACS: Law, che tra i suoi clienti annovera anche l’infame società tedesca Digiprotect, il cui motto pare sia “trasformare la violazione del diritto d’autore in un profitto”, abbiano un tantino esagerato con le pretese economiche. Alle società dell’intrattenimento spettava un misero 30% del bottino recuperato dai solerti azzeccagarbugli della ACS: Law, i quali riservavano a sé stessi il 65%.

L’eccessiva ingordigia ha spacciato i furbetti dell’ACS: Law, che hanno perso il sostegno di cui inizialmente almeno godevano da parte dei produttori di intrattenimento: il lavoro sporco svolto da ACS: Law, non era più vantaggioso, per cui lo studio è stato abbandonato al suo destino. Il fondatore Andrew Crossley è stato sospeso dall’esercizio della professione di avvocato per due anni e condannato a pagare quasi 100.000 euro di costi giudiziari.

Il cartello dei magnifici tredici, non pago di aver messo in piedi una causa interamente basata su dati privati reperiti in modo per lo meno poco chiaro, si è spinto oltre, proponendo all’autorità giudiziaria una bozza di richiesta di indennizzo di 700 sterline a ristoro della violazione delle norme sul copyright, da recapitare ad ognuno degli oltre 9.000 presunti voyeur furbacchioni. Il 27 marzo è stata resa nota la decisione dell’Alta Corte, che nella persona del giudice Arnold, ha dato torto ai 12 produttori associati alla Golden Eye, accogliendo in parte le richieste di quest’ultima.

Da un lato il giudice ha rigettato la richiesta di rimborso di 700 sterline, ordinando al dante causa di agire singolarmente contro i singoli violatori per un importo commisurato al valore dell’effettivo danno provocato; dall’altro, Arnold ha obbligato l’internet Service Provider britannico O2 a fornire alla Golden Eye i dati personali delle persone titolari di un servizio di abbonamento il cui IP sia tra quelli scovati dai cani da caccia della società di produzione.

Cautamente soddisfatto Mike O’Connor, capo dell’associazione dei consumatori Consumer Focus: “Questo caso [...] stabilisce un importante precedente dal momento che la Corte ha riconosciuto che il titolare del contratto di connettività internet non è automaticamente colpevole solo perché il chi detiene i copyright ritiene di aver scoperto una violazione dei suoi diritti effettuata su quel collegamento.”

Vittoria di Pirro, verrebbe da dire. Più che buone notizie per i consumatori: qui abbiamo una società di intrattenimento dotata di polizia privata che passa al setaccio il traffico dei privati cittadini e, se trova qualcosa che non gradisce, può rivolgersi ad un tribunale che obbliga lo ISP a rivelare gli estremi dell’abbonato. Davvero, poco di cui essere soddisfatti.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy