di Rosa Ana De Santis

Come un gigante di ferro poggiato su un fianco, a pochi chilometri dall’Isola del Giglio, la Concordia concede, quasi con fascino, tutta l’immagine della tragedia: un abisso di errore umano che conta le sue vittime, gli eroi e tutte le meschinità umane. La scena di morte sembra uscita da un libro e ieri notte, mentre la Costa Serena sfilava dietro allo scheletro abbandonato del transatlantico, è diventata quasi il simbolo assoluto della fine e della pietà.

I naufraghi scampati hanno una sola storia da raccontare. La cronologia di un allarme dato in ritardo, l’evacuazione disorganizzata affidata alla buona volontà dei singoli, la fuga del Comandante Schettino, inciampato in una scialuppa come ha raccontato sotto interrogatorio e insieme a lui, pare, di troppi ufficiali dell’equipaggio. Cuochi, camerieri, disperazione, generosità e sacrificio di uomini come il musicista Giuseppe Girolamo, ancora nella lista dei 24 scomparsi, hanno guidato il lancio in mare di scialuppe e salvagenti e la messa in fila delle formichine, come apparivano dalle riprese ad infrarosso, i passeggeri accodati sulla pancia strappata della nave.

Il duello tra il Comandante che molla i suoi passeggeri e l’altro, l’ufficiale De Falco della Capitaneria di Porto, intervenuto a supplire la fuga vergognosa, ha fatto il giro del mondo. I toni ovattati, quasi addormentati di Schettino, si perdono nei comandi risoluti di un Comandante che proprio non ci sta a diventare eroe della tragedia, come titolano troppo facilmente i quotidiani, solo per aver fatto il proprio dovere.

Risiede qui tutta l’anormalità italiana: il dovere di un Capitano si trasforma in un’ eccellenza di spirito e umanità, mentre Schettino, il principe degli inchini a bordo costa, ritorna a casa, a Meta di Sorrento, protetto da un’assoluzione incondizionata, in nome della tradizione marinara, dei meriti passati o, più banalmente, del campanilismo di paese. La virata della salvezza avrebbe evitato la tragedia in mare alto e questo basterebbe a dimenticarsi il resto. Chiarirà la giustizia nel merito quello che però la deontologia, la morale e la legge degli uomini del mare hanno già chiarito. Schettino, nel momento del naufragio, non è rimasto a fare il comandante, a coordinare evacuazione e soccorsi, a istruire i suoi uomini, a mettere in salvo fino all’ultimo bambino della nave.

Per questo la sua scarcerazione suona come uno schiaffo ai sopravvissuti, ancora increduli mentre ci restituiscono le loro storie piene di terrore. Gli errori più grandi il Comandante Schettino li fa tutti dopo la collisione: sottovalutando l’entità dei danni e l’urgenza di evacuare la nave, forse - come chiarirà la magistratura - con una corresponsabilità di altri e della stessa Costa Crociere, rinunciando alla responsabilità delle sue funzioni, mettendosi in salvo non per ultimo, come vorrebbe il codice d’onore a bordo, ma per primo.

All’incommentabile gesto di vigliaccheria supplisce un Comandante che svolge onorevolmente la sua funzione, il suo bravissimo sottocapo Tosi, che per primo quella notte ha notato sui monitor la minaccia e l’insidia di quella bassa velocità del puntino verde Concordia, il giovane ragazzo dell’elisoccorso che si è lanciato dentro il relitto senza pensiero per la propria incolumità. Uomini perbene di dovere e di assoluto rigore.

Supplisce infine un popolo di anonimi santi che si spendono, questi si, senza dovere di ruolo e uniforme. Passeggeri generosi che aiutano i bambini a ritrovare i genitori, mariti che lasciano il salvagente alla moglie, posti in scialuppa lasciati agli anziani, ai bambini o ai disabili. Personale non qualificato che si dispera, ma rimane in mezzo alla gente.

Nel naufragio la stampa inglese ha visto la scena di un declino nazionale, forse di tutto il Vecchio Continente. Ma questa tragedia è tutta dei singoli e delle loro vite, così il valore simbolico è solo quello dei protagonisti e dei diversi ritratti di umanità che si avvicendano. Le vite perdute, quelle sopravvissute, quelle dei fuggitivi e delle stellette disonorate in una farsa tutta italiana che ha già incoronato eroi e incensato santi.

La nave è rimasta, proprio come scriveva Dante nel suo canto politico del Purgatorio “sanza nocchiero e in gran tempesta”. A due passi dalla terra, lì dove sarebbe bastato, come vuole il romanticismo tutto italiano, un Comandante degno a trasformare il racconto della viltà nella notte di un eroe.

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