di Mariavittoria Orsolato

La prossima domenica cade l’annuale festa della mamma, una festività voluta nel 1870 dalla pacifista Julia Ward Howe ma ufficializzata nel 1914 dal presidente americano Woodrow Wilson. Che questa festa sia appannaggio dei fiorai, e più in generale di quel grande mondo consumistico da cui siamo quotidianamente fagocitati, è una realtà comprovata; ma il Mother’s day nasce soprattutto come giornata per ricordare l’importanza fondamentale della figura materna. “Schiava degli schiavi”, come direbbe John Lennon o, molto più semplicemente, pilastro e collante di quella famiglia tanto celebrata da Chiesa e Governo.

Dove stia quindi la notizia, ce lo spiegano l’undicesimo rapporto su “Lo stato delle madri nel mondo” realizzato da Save the Children e il nuovo rapporto Fondazione Cittalia-Anci Ricerche: essere madri in Italia significa inevitabilmente impoverirsi. I numeri emersi dalle statistiche dicono, infatti, che ben il 15,4% delle coppie con un bambino sotto i 18 anni vive in condizioni di indigenza, percentuale che sale al 16,5% in presenza di 2 figli, di cui almeno uno minorenne, e al 26,1% se i figli - maggiorenni o meno - diventano 3.

La fotografia è quella di un Paese dove esiste un bonus bebè e si organizzano plateali family-day, ma non si è in grado di migliorare le condizioni di vita delle madri e dei bambini: l’Italia infatti scivola dal 16° al 17° posto nella classifica mondiale quanto ad assistenza statale della maternità. La situazione è sicuramente bizzarra se si pensa a quante energie sono state profuse per invogliare alla creazione di nuovi nuclei familiari; ma il bandolo di questa triste matassa è proprio da ricercare nel ruolo delle istituzioni.

Costrette in molti casi ad abbandonare il lavoro al momento della gravidanza, le mamme italiane vengono coccolate e iper-protette al momento del parto, poi dallo Stato più nulla: l’enorme divaricazione tra assistenza sanitaria alla nascita - di per sé considerata comunque ottima a livello internazionale - e l’assenza pressoché completa di servizi che accompagnino il bambino nella crescita, sta infatti alla base del depauperamento di circa 1.678.000 madri.

Partendo dall’impossibilità d’iscrivere il figlio ad un asilo nido (i costi sono solitamente proibitivi per le coppie a basso reddito), fino ad arrivare all’organizzazione del tempo scolastico e domestico, tutto rema contro la possibilità di emancipazione economica della donna, troppo spesso costretta a “fare la mamma a tempo pieno” e di conseguenza impossibilitata a contribuire al reddito familiare.

E’ così che il 16,3% delle mamme in coppia con figlio piccolo paga in ritardo almeno una delle bollette di casa, mentre il 10,3% non riesce a sostenere regolarmente le spese scolastiche dei figli: la povertà relativa, quella che tocca i nuclei con un reddito inferiore ai mille euro al mese, interessa infatti più spesso le famiglie in cui la donna non lavora o rinuncia a lavorare fuori casa.

Quella evidenziata da Save the Children è un’anomalia tutta italiana, la realtà extracomunitaria ne rimane fuori quasi del tutto dal momento che il lavoro femminile, connesso com’è al rinnovo del permesso di soggiorno, ha incidenza quasi totale tra i residenti presi in considerazione dell’indagine. Non è nemmeno un problema delle madri single, solo il 7,5% del totale; ben l’86,3% delle madri costrette a tagliare sul cibo, a trascurare visite mediche e spese scolastiche vive in coppia con il padre dei suoi figli o con un secondo marito.

Inutile dire che nel resto d’Europa le cose sono ben diverse: lì il disagio economico inizia a farsi sentire solo dopo l’arrivo del terzo figlio ma è comunque compensato dagli innumerevoli servizi che le istituzioni mettono a disposizione dei genitori, dal tempo pieno scolastico agli asili aziendali. In Italia il welfare domestico - deputato ufficialmente allo Stato - è invece affidato alla rete familiare composta da nonni, zii e parenti di vario grado (necessariamente in pensione): dove questi sono arzilli, è più probabile che la madre possa dedicarsi al lavoro retribuito.

Insomma, la decisione di diventare madre nel Belpaese non corrisponde tanto ad una realizzazione della propria femminilità, ma corrisponde all’accettazione di una sfida quotidiana, ad una lotta contro il tempo e il conto in banca, ed ad inevitabile frustrazione personale che nessun bonus bebè può alleviare. Non stupiamoci dunque se il nostro Paese è passato dal baby-boom alla crescita zero.

 

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