di mazzetta

Al Festival di Sanremo arriva un’ospite particolare: la regina Rania di Giordania. Una scelta curiosa per un festival della canzone che cerca di attirare l'attenzione di un pubblico più vasto possibile, attingendo al capace cesto nazionale e internazionale dei personaggi in cerca d'autore che nulla hanno a che vedere con la musica. La presenza della regina di Giordania è però più interessante di quella del principino cantante in gara o di quella di altri ospiti, perché la sua figura è il paradigma vivente della distorsione della realtà da parte della società spettacolare.

Era già accaduto con Diana Spencer e con la saga della famiglia Grimaldi, che la rappresentazione di gesta o fatti personali sovrastasse quella dei rispettivi paesi; ci sono stati anni nei quali la cronaca estera italiana è stata dedicata per più della metà alle loro vicende, senza che la cosa suscitasse particolare scandalo Anche l'immagine di un grande e vicino paese come la Gran Bretagna si è sfumata alle spalle del protagonismo mediatico di Lady Diana.

In tutto il mondo le notizie dall'estero hanno un'audience molto più modesta di quelle sul gossip e sulle avventure dei vip e i media inseguono da anni la tendenza auto-alimentandola al ribasso; un fenomeno noto e molto più vasto, che negli anni ha devastato l'informazione trasformandola in infotainment. Il nostro paese è uno dei meno attenti alla politica estera, a chi se ne occupa si chiedono esercizi di colore e, occasionalmente, di allinearsi quando un evento in un paese lontano può essere strumentalizzato in chiave di politica interna. Evento fortunatamente raro, la nostra classe politica ha così poco interesse e conoscenza su quello che accade oltre frontiera, da non interessarsene mai, il noto deputato colto a confondere il Fast Food con il Darfur rappresenta davvero la triste media italiana.

Così Rania è diventata sua volta l'immagine della Giordania. Fa sensazione che la regina di un paese “islamico” si muova nel jet-set come un'occidentale, che usi Facebook e YouTube, che promuova cause nobili in autonomia dal marito, che non appare quasi mai accanto a lei in queste sue proiezioni mediatiche. Fa sensazione soprattutto in coloro che negli ultimi anni hanno maturato un'idea monolitica dei paesi islamici, anche a seguito della martellante propaganda che ha voluto identificare nell'islamico il nuovo nemico d'elezione per raccogliere il consenso necessario alla War o Terror e a strumentalizzazioni razziste non meno bieche. Una riservatezza giustificata quella di Abdllah, vedendolo qualcuno potrebbe chiedersi che faccia, come governi, che tipo di re sia il consorte di una signora tanto progressista e glamour.

Abdallah figlio di Hussein di Giordania ha ereditato un paese che è un vaso di coccio tra vasi di ferro, essendo un paese povero di risorse, in condizione d'inferiorità militare nei confronti di tutti i vicini, con una maggioranza interna palestinese e un buon numero di profughi iracheni. Un discreto rompicapo che il vecchio re teneva insieme d'autorità e che il figlio non ha ancora trovato il modo di gestire diversamente. Non che non ci abbiano, padre e figlio, provato sul serio: il Parlamento giordano è vagamente rappresentativo e dotato di poteri deboli al confronto di quelli del re e del governo; la sua composizione è stata una gentile concessione alle pressioni esterne più che una genuina cessione e condivisione di poteri.

Il Parlamento deve comunque votare le leggi e, visto che non voleva votare le leggi fortemente volute da Abdallah, è stato sciolto a novembre scorso, decidendo che le prossime elezioni si terranno dopo che il re avrà varato le riforme desiderate. La democrazia formale giordana è poca cosa e se Abdallah, attento all'immagine come la moglie, ha addirittura ammesso al voto il partito islamico che s'ispira ai temutissimi Fratelli Musulmani, qualcuno nel 2007 si è incaricato di deprimere il loro risultato elettorale dopo che alla prima uscita avevano riscosso troppo successo, pur rimanendo una minoranza modesta.

Ma lo scioglimento del parlamento ha poco che fare con gli islamici cattivi e molto con l'economia che zoppica, per risollevare la quale Abdallah ha in mente una bella cura liberista e l'apertura delle miniere d'uranio del paese agli investimenti internazionali. L'interesse dell'informazione per la situazione giordana nel nostro paese è prossimo allo zero, in particolare oggi che Abdallah è un sicuro amico dell'Occidente. Nonostante la Giordania sia sicuramente un importante tassello del puzzle mediorientale, quasi tutti i media hanno sorvolato.

Abdallah vive tempi relativamente tranquilli a livello internazionale, perché la frattura tra i palestinesi e l'abbandonarsi di Fatah alle iniziative del Dipartimento di Stato Usa, gli hanno permesso di sdraiarsi sulla politica statunitense senza temere particolari critiche da parte palestinese o dalla grande famiglia delle autocrazie mediorientali, tutte velocemente allineate a Washington dopo il 2001, ottenendo in cambio il totale disinteresse statunitense ai loro affari interni e l'esclusione dalla lista dei paesi “poco democratici”. Disinteresse che hanno tutte messo a frutto consolidando il proprio potere con la repressione.

Paesi ai quali per anni l'amministrazione Clinton e il FMI avevano vanamente chiesto riforme e passi avanti verso una maggiore democrazia. Dall'Egitto alla Siria, dalla Giordania all'Arabia Saudita, fino alla Libia, alla Tunisia e al Marocco, dopo il 2001 le “famiglie regnanti” di questi paesi si sono ulteriormente rafforzate e gli spazi democratici interni si sono compressi.

Ma tutto questo Sanremo non lo sa e non lo dice: la rassegna canora ospita la regina scintillante del reuccio mediorientale, che viene a promuovere l'immagine spettacolare di un paese che da noi già vende benissimo, visto che gli italiani sono al quarto posto tra i turisti che visitano la Giordania. Racconterà dal palco come si fa a catturare e sedurre un principe, evitando accuratamente di riferire come se la cava il principe una volta diventato re o sulle condizioni di vita dei suoi sudditi, così come eviterà qualsiasi riferimento al conflitto mediorientale o al dramma dei palestinesi.

Non sta bene, non sono argomenti da Sanremo, che si trova a disagio nel confrontarsi con le realtà sgradevoli: lo si è visto in passato, quando Bonolis sollecitò la colletta per i bambini del Darfur tra cantanti e produttori presenti al festival. Tra tutti, solo il povero Povia aprì il borsellino. Lo spettacolo ha le sue leggi e solo in questa veste Rania e la Giordania possono conquistare qualche minuto sul palcoscenico di Sanremo e qualche servizievole servizio sui media.
 

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