di Rosa Ana De Santis

Lo sfogo estremo di Salvatore Crisafulli e della sua famiglia ha portato nuovamente all’attenzione dell’opinione pubblica la relazione controversa e densa di dubbi tra la sofferenza estrema e la morte. Forse però nel modo sbagliato; anzi, nel peggiore dei modi. Nei giorni del caso Englaro, la famiglia Crisafulli si era spesa nel rivendicare la piena dignità di esistenze tormentate e difficili come quelle del giovane Salvatore, rimasto inerme e bisognoso di continua assistenza in un risveglio forse troppo “usato” e abusato dai suo familiari. Speso come "anti-Welby" e come icona alternativa alla scelta di Eluana; oggi, attraverso la voce dei propri congiunti, per la mancanza di un’adeguata assistenza sanitaria, annuncia, così pare, di voler morire.

Il governo si è subito mosso per verificare se a parlare fosse davvero la volontà del paziente o, piuttosto, l’esasperazione di una famiglia in lotta da anni per il suo completo risveglio. Il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Sistema Sanitario nazionale, Ignazio Marino, ha avviato un’istruttoria sul caso. La Regione Sicilia e il Comune di Catania, nel frattempo, rivendicano l’adeguatezza dell’assistenza sanitaria riservata a Salvatore Crisafulli, ma la famiglia chiede finanziamenti per un piano assistenziale domiciliare e non presso strutture esterne. Convinti dal vescovo di Catania, hanno rimandato per ora il viaggio a dopo i festeggiamenti della patrona della città. Per non turbare l’atmosfera della ricorrenza.

Il viaggio della morte in Belgio rimane comunque in agenda, senza date confermate. Pronto ad essere cancellato se la famiglia otterrà le risposte che attende. Un progetto di assistenza 24h su 24, coordinato e mirato; un’assistenza che non sia di base, ma finalizzata al miglioramento delle condizioni generali di un paziente così giovane. Resta da chiarire, rispetto alle attese dei familiari, quali siano i reali margini di miglioramento di un paziente con una grave cerebrolesione acquisita e, soprattutto, pur accogliendo tutta la rabbia di una famiglia così travolta dal dolore, quanto sia disonesto e pericoloso usare in questi termini la minaccia dell’eutanasia. Disonesto per tutti coloro che una vita come quella di Salvatore non la vogliono, nonostante la migliore assistenza sanitaria, tutti coloro che il governo prenderà in carico di salvare ad ogni costo, come minaccia di fare con la legge ancora in aula.

La scelta della famiglia Crisafulli rappresenta il modo peggiore di parlare dell’eutanasia, soprattutto ad una popolazione così imbavagliata dal senso di colpa e dal bigottismo di costume come quella italiana. Non c’è traccia di quella dignità, di quel fiero atto di libertà e di proprietà indiscutibile sulla propria vita, che ha alimentato per anni la battaglia della giovanissima Eluana. Qui l’invocazione della morte non ha la dignità di una scelta, ma le sembianze di un abbandono, di una resa, di una cieca disperazione. Nulla che possa aiutarci ad avvicinarci con pudore e rispetto alla scelta di chi non vede senso in certe forme di sopravvivenza, attraversate dal dolore come condizione cronica e dall’irreversibilità come orizzonte di senso.

L’auspicio è che questa storia e questo atto di rivolta non veicoli, come sempre è accaduto, un modo sbagliato e mediocre di accostarsi a scelte come quelle di Eluana. E’ lo stesso tipo di approccio che fa credere agli obiettori dell’aborto, ai credenti e a quanti faticano a mettere al centro l’individuo, che offrire alle donne aiuti sociali e psicologici sia l’antidoto per evitare l’aborto. Come se la scelta non avesse a che fare con la libertà individuale e con la proiezione del desiderio personale, ma fosse interamente riassorbibile nelle ragioni della collettività e del sociale. Perché sia, invece che una scelta libera e consapevole, un atto imposto dalla morale ufficiale, che usa i pulpiti e le scomuniche, non sapendo più ascoltare e capire.

Lo sfogo della famiglia Crisafulli rischia di alterare il messaggio di rottura e di coraggio che la famiglia Englaro, assecondando il desiderio della giovane figlia,  si è fatta carico di portare allo Stato Italiano e ai legislatori. L’idea che l’eutanasia sia la ratio della disperazione alla mancanza o alla lentezza di risposte pubbliche e istituzionali significa non soltanto azzerare il valore della volontà individuale, ma svilire il significato della morte e  restituire tutto il valore del singolo allo Stato.

Così se le parole della famiglia di Crisafulli sono strumentali, come ci auguriamo, al raggiungimento di condizioni migliori per la vita di Salvatore, l’auspicio è che quel viaggio rimandato non sia più invocato di fronte alla stampa e all’opinione pubblica come argomento del terrore. Un modo per contaminare di significati sbagliati la storia di Welby o di Eluana verso cui la famiglia Crisafulli ha sempre rivendicato con forza le ragioni della vita e la speranza del risveglio. Un prestigio di parole e di significati che a tutti toglierà un po’ di libertà. 


 

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