di Rosa Ana De Santis

È bufera sulle carceri italiane. Numerose e drammatiche le denuncie che negli ultimi tempi hanno evidenziato i grandi mali della detenzione. Il sovraffollamento, i diritti negati, anche quelli di cura, le condizioni disumane e i pestaggi. Le morti nere. Quelle rimaste senza causa e colpevoli. L’ultimo a morire venerdi scorso è Uzoma Emeka, testimone chiave del pestaggio avvenuto nel carcere di Teramo il 22 settembre. Era un nigeriano di 32 anni arrestato per spaccio di stupefacenti, ed è soprattutto "il negro che ha visto tutto", come dissero i secondini autori del famigerato pestaggio.

Era testimone di quell’orribile racconto di pestaggi e violenze riservate ai detenuti, che abbiamo ascoltato dalla registrazione resa nota dal quotidiano La Repubblica. Un’interrogazione parlamentare del PD chiede al guardasigilli Alfano di aprire un’indagine su questa morte oscura. Si chiede che l’autopsia sia filmata e che non si ripeta la sepoltura veloce riservata poco più di un mese fa al giovane Cucchi, riesumato per scoprire tutta la verità di una morte trovata sempre in carcere. Sempre per mano della polizia.

"Il negro" è morto per cause naturali. Si dice per arresto cardio-circolatorio. Era già svenuto qualche tempo fa sotto la doccia. Ammesso che l’autopsia lo confermi, va precisato che nessuna assistenza sanitaria, né trasferimento in struttura ospedaliera, gli era stato ovviamente riservato. Emeka era stato lasciato lì, testimone di un fatto tanto delicato e difficile, in mezzo a ogni possibile pressione, minaccia, violenta solitudine. Senza il diritto di alcuna protezione o trattamento speciale. Privato del diritto di cura e in totale insicurezza come non si conviene per un testimone di un fatto tanto scomodo.

Come lui, molti altri. Una prassi diffusa, a quanto pare, non proteggere quanti possono smascherare l’abuso extra legem che vige come regola nel carcere. Ricordiamo il tunisino Ama Tbini, che denunciò al procuratore John Woodcoock le violenze subite dai poliziotti e dagli operatori sanitari del carcere di Potenza nel 2000. Fu lasciato in mezzo agli aguzzini che aveva denunciato e fu ritrovato poco dopo nella sua cella, impiccato. Le morti dei detenuti avvenute per abbandono terapeutico o per fatti di violenza rimasti senza colpevoli o per storie di testimoni scomodi come Emeka sono tante e disegnano il quadro di un’emergenza. I morti dietro le sbarre nel 2009 arrivano a  172. Una matematica degli orrori e un record nella storia della Repubblica.

I numeri delle associazioni che lavorano per i diritti dei detenuti, “Antigone” e “Ristretti Orizzonti”, da tempo ormai denunciano l’ingiustizia che ribolle dietro le sbarre. La popolazione carceraria sfiora i 70mila detenuti, il 65% dei quali per pene inferiori ai 3 anni, per i quali bisognerebbe attuare, come previsto, pene alternative. Suicidi e morti in aumento. Ammalati lasciati morire, giovani pestati. Testimoni che non parlano o che non devono.

Quello del caso Cucchi, anche lui con la sfortuna di essere un clandestino di pelle nera, per ora ha visto essergli riservato un programma di protezione speciale che lo sottraesse al pericolo di rimanere a Regina Coeli o di finire in un altro carcere. Troppo sconvolgente il caso di Stefano e troppo straziante per le famiglie italiane la pubblicazione di quelle foto per poter permettere che un altro testimone tacesse per infarto o per una corda al collo.

Proprio il caso Cucchi ha mostrato all’opinione pubblica, senza perifrasi e senza sconti, l’intreccio diabolico che ha visto uniti medici, giudici e poliziotti in un’alleanza di morte, di abusi e omissioni che hanno ucciso. In quel modo lì, che abbiamo visto su quel lettino d’obitorio. E forse proprio quella storia, aldilà del suo epilogo giudiziario, ha restituito all’attenzione delle Istituzioni dignità alla vita dei prigionieri. La pena, spiegava Cesare Beccaria, deve avere due funzioni: quella di garantire sicurezza alla società e quella, non meno importante, di correggere il detenuto.

Cosa è successo a distanza di secoli, alla nostra ormai matura democrazia costituzionale, se questo non interessa più nessuno? Se diventa normale morire in abbandono terapeutico, senza protezione quando si diventa testimoni di abusi e illegalità come il giovane Emeka, quando non è previsto riscatto o recupero, ma pochi metri quadri da dividere stipati come bestiame, in pasto di quei secondini kapo che non diventeranno forse mai imputati? Da questi soprattutto dovrebbe essere difesa la nostra società. Da quelli che hanno spaccato la schiena di Stefano Cucchi, da quelli che non l’hanno curato e da quelli che hanno chiuso gli occhi mentre un giovane di 32 anni moriva. Di infarto o di paura. O di scomoda testimonianza.


 

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