di Mariavittoria Orsolato

Una barzelletta di dubbio gusto, nonché parecchio irrealistica, racconta che se mai un giorno il Po si dovesse prosciugare, sul letto del fiume invece che i ciottoli e la sabbia, si troverebbe uno spesso strato di cocaina. La battuta è circolata a tal punto, che persino rispettabili telegiornali come Studio Aperto ne fecero servizi pieni di angosce e timori. Che la suddetta barzelletta sia una verità di Bertoldo lo si sapeva da un pezzo, ma ad ulteriore conferma che il nostro è un paese di cocainomani, arriva un rapporto da Bruxelles in cui si precisa come in Italia i consumatori abituali di polvere bianca siano lo 0,8% della popolazione, contro una media europea dello 0,4%.

L’osservatorio europeo sulle droghe e le tossicodipendenze - che dal 1993 raccoglie e analizza tutte le informazioni disponibili su questo fenomeno culturale - ha affermato preoccupato che oltre 13 milioni di europei hanno provato cocaina almeno una volta nella loro vita, di questi la metà esatta sono giovani tra i 15 e i 34 anni.

L’agenzia europea con sede a Lisbona ha quindi confermato che la cocaina rimane lo stimolante più popolare d’Europa, sottolineando però che questo fenomeno interessa soprattutto la parte occidentale dell’Unione: l’Italia infatti rivaleggia, in termini di dipendenza diffusa, con Danimarca, Spagna, Irlanda e Regno Unito, tutti paesi in cui il consumo tra i ragazzi è attestato sul 4%. Accanto a questo fenomeno, l’Oedt ha riscontrato che il sempreverde spinello, pur restando la sostanza illecita più comunemente usata in Europa con una media di 74 milioni di consumatori, sta registrando delle flessioni importanti in termini di diffusione e consumo, soprattutto nei giovanissimi.

Pare quindi che malauguratamente gli under 30 stiano spostando la loro attenzione dalla cannabis alla cocaina, in un contesto di policonsumo che interessa soprattutto l’alcool. Ora, se le motivazioni di questo boom europeo della “bamba” non ci sono date sapere, in Italia il singolare fenomeno di deviazione sui consumi può essere spiegato facilmente con le norme introdotte dall’ultima revisione operata al testo unico sulle droghe.

La legge 49 del 2006, meglio nota come Fini-Giovanardi, va infatti a modificare le tabelle sulle sostanze, equiparando hashish e marijuana alla cocaina e distruggendo quelle che erano le distinzioni tra droghe leggere (indubbiamente le prime) e droghe pesanti (inevitabilmente la seconda). Non solo, per quanto riguardava la severità delle sanzioni, il duo legislativo si era concentrato soprattutto sulla “piaga” degli spinelli ed aveva elevato in modo spropositato le pene pecuniarie e detentive per lo spaccio ed il consumo.

La beffa di questa legge, che fece inviperire non poco gli antiproibizionisti delle penisola, consisteva nel fatto che assimilando la cannabis alla polvere bianca, anche la quantità tollerabile per il consumo personale è stata parificata a 5 grammi. La differenza, non poi così sottile, è che se 5 grammi di marijuana non sono poi così tanti, 5 grammi di cocaina per il consumo personale sono un’enormità. Questo escamotage ha permesso una diffusione capillare dello spaccio: dal momento che le dosi ordinarie di polvere bianca si aggirano sugli 0.70 grammi, il quantitativo permesso dalla legge a uso personale corrisponde a circa 7 dosi pronte da smerciare. Se a ciò si aggiunge che la nostra penisola - grazie ai traffici della ‘Ndrangheta - è la testa di ponte per la cocaina che, in arrivo dalla Colombia, va poi in tutta Europa, ben si capiranno le motivazioni che hanno spinto ad una così poco felice modificazione dell’esistente legge Turco-Napolitano.

La facilità con cui si riescono a reperire bustine di polvere bianca ha poi fatto crollare i prezzi, rendendo una dose accessibile veramente a chiunque: se fino a qualche tempo fa la coca era infatti considerata una droga da ricchi, adesso nelle piazze italiane un “pezzo” (circa 0,70 grammi) si può comprare con soli 40-50 euro. La valutazione sui prezzi é utile anche a spiegare il fenomeno di flessione che ha caratterizzato la cannabis, compagna di sventure nella legge Fini-Giovanardi: il prezzo che caratterizza una dose di coca al dettaglio, è circa 5 volte il costo di una pari quantità di marijuana e 10 volte quello dell’hashish. Dato che le pene si sono inasprite per la cannabis ma si sono notevolmente raddolcite nei confronti della polvere bianca, il mercato nero ha ovviamente spinto sulla distribuzione che rende di più e con cui si rischia di meno.

Questa inflazione ha così permesso alla sostanza di diffondersi tra tutte le classi sociali e di insidiare ogni generazione, diversificando di conseguenza le pratiche di consumo. Oggi la cocaina non si usa solo per movimentare le serate mondane: si sniffa nei bagni delle scuole prima delle interrogazioni, negli spogliatoi delle fabbriche per star svegli durante i turni di notte e, come le recenti cronache hanno abbondantemente documentato, la si usa (oltretutto a torto) come coadiuvante durante le prestazioni sessuali.

Esattamente 3 anni fa, gli inviati de Le Iene effettuavano un “drug test” in Parlamento all’insaputa degli interessati. Subito dopo la messa in onda, il servizio scatenava enormi polemiche: non tanto sul fatto che un deputato su tre risultasse positivo al test (l’8% dei quali alla cocaina), quanto piuttosto sull’imperdonabile violazione della privacy che Le Iene avevano operato nei bagni di Montecitorio. Oggi il cosiddetto “sistema Tarantini”, svela come in realtà la polvere bianca sia una potente merce di scambio e un’immancabile corollario a qualsivoglia tipo di incontro politico privato. Non ci stupiamo se allora quella della cocaina è ormai definibile come “cultura”.

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