di Rosa Ana De Santis

Il tempo dei dibattiti infuocati è al tramonto. Silenzio sulle associazioni che lavorano ogni giorno tra gli immigrati. Silenzio sugli ospedali dove i medici non hanno voluto prestarsi a fare i poliziotti. Mute le aule delle scuole, così piene di piccoli immigrati, ormai chiuse per le prossime vacanze. Arriva così, sotto il sole bollente, l’annuncio che il DDL sicurezza ha avuto il SI del Senato. Plaude il governo e il suo capo, affamati di quella sicurezza venduta in pillole di spot tra una propaganda e l’altra. Per l’Italia non è un passaggio come un altro. Si tratta di un vero cambio di rotta, finalmente esplicito e non solo sussurrato. Un manifesto nero di politica e una semina di disvalori da dare in pasto all’opinione pubblica in letargo. Alla vigilia del G8, mentre Ratzinger scrive a Berlusconi ricordandogli l’urgenza dell’etica nella politica dei grandi della Terra, il nostro Paese si chiude in un tempio di cristallo. Chiude al mondo, alle ragioni che muovono file di uomini e donne da un paese e l’altro. Rifiuta il ragionamento e adotta come risolutivo un approccio sul tema della sicurezza che ricorda la naftalina degli squadroni. Teorizza un protezionismo fasullo, oltre che immorale, sul concetto di cittadinanza, abbandonando per norma, e non solo a chiacchiere, ogni ipotesi di pensare e lavorare con serietà e competenza ad una società del futuro. Era questo l’obiettivo delle Camice verdi e dei fascisti riciclati nelle ronde nere dell’ex missino Gaetano Saya. Il regalo è arrivato. Essere clandestino è reato, dal momento dell’ingresso.

La soluzione italiana alla pagina di storia che sta raccontando l’altra faccia della globalizzazione, quella dei migranti, questo nuovo popolo che non ha luogo né geografia, ma ragioni politiche e storiche da portare all’attenzione della politica dei grandi, è arrivata. La ricetta del governo del gossip è la criminalizzazione indiscriminata. E’ solo un tema di ordine pubblico. E la sicurezza diventa l’alibi, tutto infondato - dati del Viminale alla mano - per sfogare razzismo, xenofobia, povertà intellettuale, fascismo di idee e di costume. La miseria arriverà così nelle nostre strade e sarà vestita con la paura della milizia e delle ronde. Mentre la polizia resta all’asciutto di benzina e soldi per continuare a svolgere il proprio compito. Davvero una singolare contraddizione.

Mentre si riduce al 3% di quanto promesso l’ammontare degli aiuti all’Africa, si triplica la dose di fascismo sociale da mettere in bliancio. Non si li aiuta a casa loro, non li si fa entrare nella nostra. Il senso della politica italiana è questo. Meno diritti si riconoscono ai migranti, più precarietà viene assegnata alla loro esistenza, più semplice e redditizio sarà ridurre in schiavitù quelli che avranno la possibilità di venire, più guadagnerà la cosiddetta imprenditoria italiana, che si atteggia ad alta finanza ma che resta, sostanzialmente, caporalato. Non funzionerà comunque, non si svuota il mare con un secchiello e un problema planetario, strettamente connesso alla condizione di oppressione del nord verso il sud, non sarà risolto da peones improvvisatisi legislatori.

Sono pronti mille volontari al Nord, soprattutto giovani, desiderosi, come qualche recente inchiesta giornalistica ha documentato, di minacciare chiunque non sia italiano. Armati di un cellulare, vogliono farci credere, per poter chiamare le forze dell’ordine in caso di necessità. Le mazze da baseball di Borghezio devono essere state riposte in cantina. E se poi qualche malcapitato, che parla in accento slavo o africano, dovesse cadere nella trappola di questi gruppetti violenti e sarà malridotto o magari ucciso, forse non ne vedremo nemmeno mai il disturbo di una notizia perché la regola è che non sia da ospitare quella stampa che parla di crisi e problemi, di vergogne e di scandali, perché intralcia l’ottimismo, perché smaschera le bugie. Lo dice il nostro Premier, che se ne intende come pochi.

La Chiesa, non il Vaticano come tiene a sottolineare subito il portavoce della Santa Sede, padre Lombardo, attacca Maroni e i suoi. I preti di strada si armano con l’obiezione di coscienza e la stessa CEI non può astenersi dal riconoscere in quest’azione politica del governo una lettura parziale del complesso fenomeno dell’immigrazione. Pax Christi, organizzazione cattolica, definisce la legge una “bestemmia civile” e la polemica monta. Ma Maroni smarca con facilità il fastidio di chi ricorda le ragioni dell’accoglienza, ricorrendo all’epiteto della “solita liturgia” o “litania”. La dialettica con la Chiesa e la sua dottrina sociale, almeno di un tempo, non ha la forza, non su questi temi, di rappresentare un’occasione di indugio o di riflessione. L’idea di aver finalmente avuto i numeri per trasformare l’Italia in una grande Padania, per spazzare via gli stranieri o anche solo tenerli sotto una campana di paura e sottomissione, è un afrodisiaco irrinunciabile per la destra al potere.

Nonostante la legge non possa avere valore retroattivo, stando al fatto che il reato di clandestinità non è solo legato all’ingresso, ma anche al soggiorno illegale in Italia, la sensazione è che si aprirà una zona grigia di applicazione. E sarà abuso su molti, discrezionalità, incertezza e panico. Sarà confusione. Gli irregolari potranno rimanere nei lager di espulsione fino a sei mesi. A vegetare trattenuti come animali senza controllo, né protezione, né salvaguardia dei loro fondamentali diritti. A dirlo era già stata l’ultima verifica dell’ONU a Lampedusa che aveva documentato condizioni di vita disumane, a sfregio del riconoscimento e della tutela degli inalienabili diritti umani.

Si è consumato sotto gli occhi di tutti il più grande degli inganni e la peggiore involuzione culturale. Che l’immigrazione fosse una pagina di politica molto difficile e piena di ferite, era dato sapere. Che si potesse decidere di non accettare la sfida, di ignorare la ragioni profonde di questo fenomeno, di non voler costruire una politica dell’integrazione forse era proprio quello che dovevamo attenderci da un Paese così ridotto.

L’equazione, infondata, tra insicurezza nazionale e stranieri immigrati, è divenuta verità nella coscienza della popolazione. Che essere stranieri irregolari sia un dato di colpevolezza e un reato è la benedizione che mancava al diffuso sentimento di intolleranza e discriminazione e ai raid punitivi che verranno. Ci ha portati a questo la mission educatrice delle Istituzioni. E oltre all’immoralità di questo provvedimento, rimane nei fatti un’inefficacia che fa imbarazzo. Una politica credibile sulla sicurezza avrebbe dovuto innanzitutto rivolgersi agli uomini preparati delle Forze dell’Ordine Ufficiali, non a picchiatori in vacanza dagli stadi senza armi, come recita la norma.

Il governo aveva bisogno di spaventapasseri e capri espiatori. E di una buona dose di terrore sociale, per anestetizzare ogni possibilità di risveglio civile e per regalare l’illusione che gli italiani fossero il centro di gravità del proprio operato. Per farlo ha usato gli stranieri. Della Dichiarazione Universale dei diritti Umani non si è dato troppa cura. Non è questo un governo all’altezza. Un esempio su tutti: il Ministro delle Pari Opportunità ha recitato la preghierina delle buone intenzioni annunciando che, grazie a questa legge, integrazione si, clandestinità no. Uno slogan che non significa niente. Uno spot da intervallo. Solo un’imperdonabile impreparazione può portare a credere che le due dimensioni siano separabili, che sia possibile tagliare in due le identità e le condizioni di chi fugge e si mette in viaggio. Solo il peccato di un’ignoranza pericolosa può non vedere che chi arriva qui, per miseria, fuga da guerre, per motivi politici, è prima di tutto un cittadino.

L’espulsione, su cui tanto si accanisce l’onorevole Ministro degli Interni, non può mai diventare l’unica risposta possibile e indiscriminata per gli stranieri. Quello che accadrà criminalizzandoli tutti. Perché non riconoscere gli scarsi risultati della Bossi-Fini? Perché non verificare cosa non funzionasse davvero quando il questore emetteva i fogli di via? Perché risolvere una propria incapacità di azione criminalizzando una condizione esistenziale, umana? Essere clandestino, questa l’unica risposta, è illegale.

In questi giorni a Roma si cerca uno stupratore. Accento italiano. A suo carico forse tre stupri. Un seriale. La polizia indaga. Cosa sarebbe accaduto se quell’uomo avesse avuto - forse - un’identità straniera? Se la vittima avesse parlato di accento romeno o marocchino? Cosa sarebbe accaduto nei quartieri della Capitale con le ronde appostate a mettere ordine? Tra l’altro chi avrebbe distinto tra un clandestino e un badante o un lavoratore straniero? E quale Paese civile può delegare al popolo e ad una dimensione privatistica e personale la gestione della giustizia di tutti? E’ una regressione gravissima dalla giustizia alla vendetta. Un errore che può essere perdonato al singolo, mai allo Stato. In una sola legge due preoccupanti anomalie: la giustizia “fai da te” e la sovrapposizione della categoria normativa di reato a quella esistenziale di clandestino con l’esito di una depoliticizzazione progressiva dei grandi temi dell’immigrazione, a tutto vantaggio di una deriva poliziesca, tanto pubblica quanto privata.

L’Italia, la lingua di terra dell’Europa in un Mediterraneo attraversato notte e giorno, ha scelto di calpestare i diritti umani e di cittadinanza, disegnando una società dove un innocente commette reato perché clandestino, dove lavora nelle nostre case sottopagato dalle mani italiane. Dove viene abbandonato davanti all’entrata del pronto soccorso quando si ferisce in cantiere. Dove può essere rimpatriato anche se è un rifugiato, come è accaduto con la Libia di recente. Dove viene denunciato, se va a curarsi. E dove anche se è regolare deve mandare i suoi figli a sedere in aule separate da quelle dei figli italiani. E all’occorrenza può essere dato in pasto alle serate annoiate delle ronde. Con questa brutalità l’Italia toglie la maschera alla sua gente e al governo eletto. Dietro i mandolini e la falsa tolleranza esiste una viscerale avversione agli stranieri e agli immigrati. Difficile stabilire se sia amnesia o nemesi di un passato prossimo che, ormai, pare indicare il futuro che sembra aspettarci. Non c’è più polvere sulle nostre valigie di cartone.


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