di Rosa Ana De Santis

Loro sono i detenuti, i cittadini invisibili. La loro é una voce scomoda, inopportuna. Quasi un pudore impedisce di parlare delle loro storie, di come vivano la detenzione, di come passino le giornate nelle gabbie dell’allevamento dove l’ossigeno si beve a sorsi di cannuccia . Del resto non è raro vedere le smorfie del fastidio sul viso della gente comune nel sentire di persone per le quali la pena è diventata davvero un’occasione di recupero e una possibilità di reintegro nella società. I colpevoli sono colpevoli. La libido forcaiola perde le staffe quando i numeri e le inchieste raccontano di condizioni di vita disumane, di sovraffollamento, di disagi sanitari, di totale abbandono. Perché la pena ha bisogno di un surplus di cattiveria. Sono 20.000 i detenuti in più rispetto al limite della “tollerabilità”. L’Italia ne conta ormai 63.460. L’Emilia Romagna vanta il record di un sovraffollamento del 193%. Questi sono solo alcuni numeri della matematica preoccupante dei penitenziari italiani. L’Associazione Antigone ha presentato un rapporto completo dopo il primo anno di lavoro del difensore civico e dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione. Nel giugno 2012 arriveremo ai numeri delle carceri dell’Europa dell’Est se la crescita esponenziale proseguirà in questo modo. Da gennaio 2009 ad oggi, infatti, il numero dei “ristretti” è cresciuto di poco meno di 1.000 persone al mese. Questa folla in scatola non cresce per l’aumento di omicidi e furti, che invece sono diminuiti rispetto agli anni Novanta. Altri sono i reati e le pene che riempiono le carceri. Le rapine, la maggiore repressione sia nel consumo che nello spaccio delle droghe, gli immigrati irregolari e quelli che non rispettano l’obbligo di espulsione, la maggiore severità con i recidivi. Incide del 52,2% la “custodia cautelare” che, dati i tempi della giustizia nostrana, è destinata senz’altro a crescere per i detenuti in attesa di giudizio.

Emerge in modo lampante che il sistema carcerario è “inceppato”, come lo definisce il Rapporto Antigone; e nemmeno l’indulto ha sanato il caos delle condanne brevi, inferiori o pari a 3 anni, che avrebbero potuto portare verso misure alternative alla detenzione, riscontrate come efficaci. Il numero di questa categoria di carcerati invece non é affatto diminuito, il tutto grazie anche a campagne distorte sulla certezza della pena e a misure legislative come la legge Bossi -Fini o la Fini-Giovanardi.

Sui dati di Antigone polemizza il sottosegretario Giovanardi, che ritiene che i numeri legati ai tossicodipendenti siano sostanzialmente da collegare alla maggiore repressione dello spaccio e non alla maggiore repressione nei riguardi del consumo. Una lettura critica dei dati che però negherebbe a Giovanardi il “merito” di aver portato alla ribalta con toni da Savonarola il dramma della cannabis tra i giovani e i danni cerebrali che procura su cui ci sarebbe una pericolosa omertà.

Passando poi dalle carceri agli Ospedali psichiatrici giudiziari, la situazione è altrettanto allarmante, pur tenendo conto della mancanza di dati del tutto attendibili nei centri di Napoli e Aversa. Anche qui troviamo il dramma del sovraffollamento, cui si aggiunge il problema ulteriore della mancanza di preparazione adeguata da parte della polizia penitenziaria. Polizia che denuncia condizioni di lavoro assurde e inefficaci. E’ accaduto di recente nella protesta davanti San Vittore. Turni massacranti, ferie e riposi che saltano, stipendi che sembrano oboli, carenza di mezzi di trasporto e addirittura di vestiario. Una stranezza che dovrebbe risultare bizzarra, insieme a molte altre, agli elettori annebbiati del governo che sbandiera la sicurezza dei cittadini come priorità ineludibile.

La ricetta finora perseguita assomiglia - per metodo e merito - alle molte altre del governo in carica. Ammassare gente su gente in cella senza alcun piano per il futuro è l’effetto collaterale, che non preoccupa nessuno, di una politica stradaiola sulla sicurezza. Non si parla di edilizia carceraria. Le misure alternative per le pene di breve arco temporale andrebbero rivitalizzate, mentre dopo l’indulto sono state sempre più dimenticate; ridotte quelle legate alla tossicodipendenza, ridotti anche i tempi della custodia cautelare. Questi dovrebbero essere i punti fondamentali di una riforma globale e profonda del sistema carcerario secondo il rapporto Antigone.

Un carcere dovrebbe assomigliare, ad esempio, a quello di Padova nel quale i detenuti lavorano per cooperative, esiste l’assistenza anche grazie all’opera dei volontari, si contano iscritti al Polo Universitario. Le condizioni più diffuse sono quelle invece di carceri come Favignana, Poggioreale, Brescia, Belluno e molti altri. Detenuti e topi in cella per giornate intere. Celle da tre che diventano da sei o da otto. Alcolisti e tossicodipendenti, quest’ultimi non tutti trattati con metadone. Malati di epatite.

E potremmo continuare con l’allarme sifilide del 2008 all’Ucciardone e proseguire con la mancanza di acqua al Regina Coeli di Roma. Bagni che non funzionano e paludi di escrementi quasi all’ordine del giorno. L’assistenza sanitaria diventa un lusso nella maggioranza dei casi, la lontananza dalla famiglia la conseguenza di una totale irrazionalità di gestione delle carceri sul territorio. Sulle donne e i figli la legge Finocchiaro non ha prodotto risultati concreti. La possibilità di avvalersi di benefici generali per vivere in normalità il rapporto con i propri figli (20 nell’asilo di Rebibbia) rimane tortuosa e spesso inapplicabile.

Questo è il fotogramma di un inferno che bolle. Sotto terra, esattamente come nelle celle di Favignana. Ed è il segno inconfondibile di una lettura della pena ormai consacrata dal popolino e dai suoi educatori che non solo ha bandito ogni traccia di recupero e reintegro, ma che esprime ripetutamente di non sentire l’urgenza di occuparsi dei diritti negati nelle carceri. Oggi sembra essersi esaurita sia quella sensibilità di ascendenza cristiana che si usava nei confronti di chi aveva sbagliato, sia quella ragione che aveva illuminato il pensiero di uomini come Beccaria.

Quando le proteste montano da anni e i numeri arrivano a quelli di questo ultimo rapporto, non c’è lettura critica dei dati che possa funzionare da attenuante. Chi sta dietro le sbarre è stato dimenticato nei suoi elementari diritti, non nei lussi o negli omaggi. Una democrazia matura non si vede certamente nelle società ideali e bene ordinate raccontate dai manuali di filosofia politica. Il riconoscimento dei diritti si vede, oppure no, in tutte le zone buie di disagio sociale. Nelle corsie degli ospedali, nelle fasce sociali più deboli, nelle scuole pubbliche, tra coloro che hanno commesso reati e crimini. A questo proposito, guardando alla situazione delle nostre carceri, viene da pensare che un paese normale sia un lontano miraggio, se pensiamo che addirittura lo sguardo di un governo verso i propri cittadini che hanno commesso reati, rompendo in questo modo il patto sociale, sia da considerare una atto di nobiltà. In assenza di civiltà, rimane solo un’ansia punitiva e un’indolenza colpevole delle Istituzioni.

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