di Antonio Rei

Nella corsa a ostacoli verso il referendum del 4 dicembre si è iscritto anche un nome a sorpresa. Quello di Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia. La campagna con cui il governo Renzi cerca disperatamente di far risalire il SÌ, che tutti i sondaggi danno in svantaggio, è costellata di tutti i colpi bassi possibili. Non era però scontato che si prestasse al gioco anche una delle istituzioni più importanti e autorevoli del nostro Paese, tenuta all’indipendenza all’imparzialità rispetto alla politica. Bankitalia, appunto.

A pagina 28 dell’ultimo “Rapporto sulla stabilità finanziaria dell’Italia”, i tecnici di Via Nazionale scrivono quanto segue: “Il differenziale fra la volatilità implicita del mercato italiano e quella dell’area dell’euro è elevato; gli indicatori segnalano un forte aumento della volatilità attesa per il mercato italiano a ridosso della prima settimana di dicembre, in corrispondenza con il referendum sulla riforma costituzionale”.

In precedenza, lo stesso Visco aveva detto la sua in modo piuttosto chiaro: "Io non so quanto inciderà l'esito del referendum. Nel mondo, è opinione diffusa che la vittoria del No potrebbe essere un problema. Io penso, e lo dico agli interlocutori esteri con i quali parlo ogni giorno, che potrà esserci un po' di tensione, ma aggiungo anche che bisognerà andare oltre la tensione, perché le riforme istituzionali vanno fatte in ogni caso".

Tutto ciò si somma alle parole di Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia, che in un’intervista di qualche settimana fa si era espresso in questi termini: “Da un punto di vista di efficienza del processo decisionale di politica economica non c’è dubbio che il bicameralismo perfetto all’italiana sia un sistema da correggere. Non a caso la comunità internazionale si è convinta trattarsi della ‘madre’ di tutte le riforme strutturali per l’Italia. Come farlo è materia di tecnica costituzionale e in fin dei conti di grandi scelte politiche, dunque è giusto che a pronunciarsi sia tutto il popolo”.

Il popolo infatti si pronuncerà, ma la posizione dell’istituto centrale - che con la politica non dovrebbe avere nulla a che fare - è assolutamente cristallina. Bankitalia vota SÌ, lo possiamo dire con certezza. Di per sé questa non è una grande sorpresa, ma a stupire sono i modi scelti da Via Nazionale per alimentare la campagna propagandistica del Governo.

L’affermazione riguardo al “forte aumento della volatilità” in corrispondenza del referendum, per di più a così breve distanza dal voto, è evidentemente l’ultima delle molte profezie di sventura pronunciate per intimorire la classe media. L’obiettivo ultimo è spingere gli indecisi a non deludere le aspirazioni dell’establishment, che farebbe di tutto pur di non rinunciare all’accentramento di potere previsto da questa riforma.

E allora ecco che Renzi prima dice di non voler fare campagna sulla paura, perché se vincesse il NO non arriverebbe l’apocalisse, poi però prospetta agli italiani uno scenario in cui con la riforma crescerebbe il Pil, mentre senza salirebbe lo spread. Anche il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, ha lanciato più volte lo stesso avvertimento, seppur in termini meno grossolani.

In realtà, il terrorismo psicologico del Governo sullo spread è in mala fede, poiché da anni la Bce  ha messo in campo gli strumenti necessari a scongiurare qualsiasi attacco speculativo contro l’Italia. Ma anche la tempesta in Borsa paventata da Bankitalia non è poi così scontata. I titoli bancari hanno perso molto nelle ultime sedute proprio perché gli operatori stanno già traendo le conseguenze della prevedibile vittoria del NO. Se e quando questa arriverà sul serio, perciò, il mercato l’avrà già scontata, almeno in parte.

Non bisogna poi dimenticare quello che è accaduto dopo i rivolgimenti politici più assurdi di quest’anno: la Brexit e la vittoria di Donald Trump alle presidenziali Usa. Nel primo caso il panic selling durò pochissimo e i mercati persero molto meno di quanto gli analisti avevano previsto; nel secondo, incredibilmente, le Borse mondiali hanno reagito in modo addirittura positivo, smentendo le solite Cassandre interessate che avevano previsto una perdita fino al 7% per Wall Street in caso di sconfitta di Hillary.

Ma in fin dei conti, la considerazione che più conta è un’altra. In gioco con questo referendum c’è la Costituzione italiana. La Carta più importante, quella che descrive chi siamo e che determina in che modo saremo governati. Davvero dovremmo decidere di stravolgerne 47 articoli (sì, sono 47!!) perché altrimenti cade il Governo e i mercati si agitano?

Anche ammettendo per assurdo che questo sia il Governo migliore della nostra storia e che davvero i gli investitori scateneranno l’Armageddon se lo vedono fallire, sarebbero questi dei motivi validi per votare SÌ? La risposta, anche in questo caso, è NO.

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