di Antonio Rei

Dopo ben nove anni passati al Quirinale a seguito di una rielezione inattesa, speravamo di esserci liberati di Giorgio Napolitano. Invece no. L’ex Presidente della Repubblica non si gode la pensione facendo il nonno a tempo pieno, ma esercita ancora un ruolo di peso nei rapporti fra Italia e Ue. La settimana scorsa il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, è venuto in visita a Roma. La logica, la prassi e l’etichetta istituzionale lasciavano supporre che la prima meta del numero uno di Bruxelles sarebbe stata Palazzo Chigi. Macché: ancor prima d’incontrare Matteo Renzi, Juncker si è recato in visita dal buon vecchio Re Giorgio.

Un appuntamento a dir poco irrituale, durato più o meno 45 minuti e al termine del quale non è stata concessa ai giornalisti neppure una foto ricordo. E’ stato lo stesso Juncker a pubblicare su Twitter le uniche due immagini del colloquio, seguite da un cinguettio in italiano: “Con il mio caro amico Napolitano. Sempre vivo il suo grande spirito europeo”.

L’ex Capo di Stato italiano, invece, ha fatto sapere che “l'incontro è stato estremamente amichevole e ha consentito di puntualizzare insieme il quadro delle sfide che l'Unione Europea, e in particolare la Commissione presieduta da Juncker, sta in questo momento fronteggiando”.

Non è inutile polemica chiedersi a quale titolo l’ex presidente, ora solo senatore a vita, dunque privo di incarichi istituzionali, incontri il capo della Commissione europea ancor prima del Primo Ministro. Un incontro amichevole? A questo punto la domanda sorge spontanea: quanto è stretta ancora questa “amicizia”? Quanto è ancora “vivo” il “grande spirito europeo” del Presidente che ha massacrato l’Italia? Ciò che più ha caratterizzato il “novennato” di Napolitano è stato proprio il suo servilismo nei confronti di Bruxelles e di Francoforte, di cui ha pedissequamente eseguito ogni ordine.

Sull’altare europeo l’ex Capo di Stato ha sacrificato ogni cosa, perfino il rispetto della volontà popolare: prima con l’imposizione dall’alto dell’infausto governo Monti, poi con il lavoro più sotterraneo e meno dannoso per portare a Palazzo Chigi l’amorfo Enrico Letta (una manovra che, per la verità, è stata possibile solo grazie all’inettitudine politica di Pier Luigi Bersani), successivamente con l’arrivo di Renzi, mai votato, mai eletto e nonostante ciò delegato alla restaurazione politica del Paese in nome degli interessi di chi ce lo ha imposto.

Ora, è evidente che i contenuti del recente colloquio Juncker-Napolitano non verranno mai alla luce. Ma anche sorvolando sulla sostanza e limitandosi alla forma, è ovvio che la scelta del capo della Commissione Ue di recarsi dal “caro amico Giorgio” prima che dal meno affettuoso “friend Matteo” non è casuale né priva di significato. Arriva dopo un periodo di altissima tensione con il governo italiano e subito prima di un cessate il fuoco stipulato per pura convenienza politica, perché in questo momento sono altri i Paesi di cui Bruxelles deve preoccuparsi (Portogallo, Irlanda, Austria, Ungheria, Grecia…).

Secondo i retroscena, quando l’acredine fra Roma e Bruxelles ha toccato il livello più alto, dalla Commissione sarebbe partita una telefonata al Quirinale per chiedere al Presidente di tirare le briglie a Renzi, colpevole di aver usato toni eccessivamente duri contro le politiche europee. Mattarella però, che siede sulla sua poltrona proprio grazie a Renzi, avrebbe rifiutato di prodursi in qualsivoglia ingerenza, per rispettare l’obbligo d’imparzialità che il ruolo di garante della Costituzione gli impone.

Uno scrupolo che Napolitano non si è mai nemmeno sognato, meritandosi così la perpetua stima di Bruxelles, che infatti - dopo il fallimento con Mattarella - è tornata prontamente a chiedere aiuto al suo vecchio amico. Il quale ha obbedito con solerzia, riproponendosi in una lunga intervista a La Repubblica come garante degli interessi europei in Italia.  

Il messaggio che emerge da tutto questo sembra abbastanza chiaro. La prima autorità politica che Bruxelles riconosce in Italia è ancora quella di Napolitano: con lui Bruxelles si relaziona in via preferenziale, a lui si rivolge quando i governanti di turno a Roma si permettono di alzare troppo la voce. E non è un caso che il bullo di Pontassieve, come già un mese prima con la Cancelliera Merkel, abbia di nuovo calato le braghe.

La dietrologia serve a poco e spesso è dannosa, ma pensare che il colloquio della settimana scorsa sia stato un semplice ritrovo fra compagni di bevute, impegnati a discutere genericamente delle sfide che l’Ue “sta in questo momento fronteggiando”, è quantomeno inverosimile. Quando si va a casa del burattinaio, di solito, si parla delle marionette. Di quelle che oggi occupano il teatrino e, magari, di quelle che un giorno le rimpiazzeranno.

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