di Antonio Rei

Finché si tratta di stracciare l'articolo 18 o di falcidiare le pensioni, la parola dell'Unione europea è il vangelo. Quando invece da Bruxelles si permettono di dare dei suggerimenti in tema di fisco manifestamente corretti, ma che cozzano contro il disegno propagandistico di sua maestà Renzi, d'improvviso la Commissione Ue si trasforma in un coacervo di burocrati che non si deve permettere di dare lezioni e mettere in discussione la nostra intoccabile sovranità nazionale. 

Lunedì l'Esecutivo comunitario ha pubblicato un rapporto sulle riforme fiscali dei vari Paesi membri dell'Unione in cui sottolinea che il sistema in vigore in diversi Stati, Italia compresa, "tende a basarsi fortemente sulla tassazione del lavoro, che può deprimere sia l'offerta che la domanda di lavoro".

Secondo la Commissione europea, perciò, si deve concentrare l'attenzione "sui modi appropriati per spostare il carico fiscale dal lavoro ad altri tipi di tassazione che sono meno dannose per la crescita e l'occupazione, come i consumi, la proprietà e le tasse ambientali".

Molti Paesi, tra cui il nostro, "appaiono avere sia una necessità potenziale di ridurre il carico relativamente alto della tassazione sul lavoro - si legge ancora nel rapporto - sia lo spazio potenziale per aumentare le imposte meno discorsive".

In sintesi, Bruxelles ci consiglia di aumentare l'Iva, la Tasi o l'Imu e di ridurre il cuneo fiscale (davvero però, non come l'anno scorso, quando l'operazione si risolse in un regalo alle imprese), ovvero l'esatto contrario di quello che il nostro Governo intende fare con la legge di Stabilità 2016, il cui pezzo forte è proprio la cancellazione delle tasse sulla prima casa. Il principio cui fa riferimento l'Ue è semplice: le tasse sui consumi e sulla proprietà zavorrano il Pil molto meno di quelle sul reddito. E' un dato empirico elementare, che qualsiasi matricola delle facoltà di Economia dovrebbe conoscere.

Lo conosce anche il nostro ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, che infatti ancora prima del rapporto Ue si era prodotto in una delle ormai consuete piroette accademiche: "La critica degli economisti è che abolire le tasse sulla casa sia meno efficiente che abbattere le tasse sul lavoro - aveva sottolineato il titolare dell'Economia in risposta a un report di Moody's -. Questo è vero in generale, ma nel caso specifico italiano l'abbattimento della Tasi è relativamente più efficiente".

Il motivo, secondo il numero uno del Tesoro, è che si tratta di una misura che riguarda l'80% degli italiani e che sarà in grado di "restituire fiducia" ai proprietari. In questo modo, sempre nell'analisi del ministro, sarà possibile sostenere l'industria delle costruzioni, "uno tra i pezzi dell'economia che risulta ancora in ritardo".

Quello che Padoan non dice è che l'abolizione della Tasi è una misura socialmente iniqua, perché consente agli italiani più ricchi di risparmiare molti soldi (chi ha 4 case e 4 figli non pagherà nulla: gli basterà intestare un immobile a ogni pargolo), mentre per oltre due terzi delle famiglie lo sgravio sarà in media di 17 euro al mese, come ha certificato il centro di ricerca Nomisma, secondo cui "difficilmente ci saranno maggiori transazioni immobiliari e maggiori spese per i consumi". Critiche a questa misura del Governo sono arrivate anche da Confindustria e da Assonime, oltre che dalla Cgil.

Ma allora perché mai il Governo insiste? Ovviamente la ragione è politica. Nonostante tutti gli studi di economia in circolazione, le tasse sulla casa continuano ad essere percepite come le più ingiuste e da sempre i politici puntano su questo tasto per parlare alla pancia dell'elettorato.

La cosa più assurda è pretendere che un'operazione del genere possa essere considerata "di sinistra", come pure ha detto Padoan, forse dimenticando che Berlusconi vinse le elezioni del 2008 comprandosi gli italiani con l'abolizione dell'Ici.

Alla luce di tutto ciò, le parole pronunciate ieri da Renzi contro il rapporto della Commissione europea suonano come l'ennesima trovata per raggirare gli italiani: "Quali tasse ridurre lo decidiamo noi e non un euroburocrate", ha tuonato con il piglio del Premier che non deve chiedere mai. "Su questo tema - ha aggiunto - decide l'Italia. Ciascuno faccia il suo mestiere". E su questo ha ragione: la politica fiscale andrebbe modulata da chi ha studiato queste cose. Da noi, invece, se ne occupano quelli del marketing.

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