di Antonio Rei

La scuola retorica renziana, ancor più d quella berlusconiana, rende i suoi adepti dei veri maestri nell'arte di rigirare la frittata. Lo dimostrano le ultime parole di Maria Elena Boschi sulla Buona Scuola, quanto mai acrobatiche. Secondo il ministro delle Riforme, il disegno di legge presentato dal Governo "non è un prendere o lasciare", ma "è inaccettabile lasciare le cose come sono", perché "la scuola in mano solo ai sindacati non funziona".

Iniziamo dalla prima affermazione. In effetti, per una volta stiamo parlando di un Ddl (non di un decreto) su cui l'Esecutivo non intende porre la fiducia. Ciò in teoria significa che - al contrario di quanto è avvenuto con l'Italicum - almeno questo testo potrà essere discusso e modificato dalle Camere senza ricatti e forzature da parte del Governo.

Insomma, al Parlamento viene concessa una sorta di ricreazione durante la quale potrà tornare a esercitare liberamente il potere legislativo. E' questo che il ministro intende quando sottolinea che non si tratta di "un prendere o lasciare". Ma siamo sicuri che sia così? Non proprio, vediamo perché.

La misura più attesa fra quelle contenute nella Buona Scuola è l'assunzione di 100mila precari (inizialmente il premier Matteo Renzi aveva promesso la stabilizzazione di 148mila lavoratori, numero che si è poi misteriosamente ridotto di un terzo). E' bene ricordare che non siamo di fronte a uno slancio di pudore nei confronti di una delle categorie di dipendenti statali più bistrattate: a imporre queste assunzioni è l'Ue.

Lo scorso 26 novembre, infatti, la Corte europea si è espressa contro il ricorso sistematico ai contratti a tempo determinato nella scuola pubblica italiana, stabilendo che dopo tre supplenze annuali un docente abbia diritto all'assunzione. E' quindi ovvio che le stabilizzazioni debbano avvenire quanto prima, per non incorrere nell'ira di Bruxelles.

Questa sarebbe stata certamente una ragione di "necessità e urgenza" che - Costituzione alla mano - avrebbe giustificato il ricorso a un decreto legge, strumento di cui il Governo si è già avvalso ampiamente e senza alcun motivo (si pensi alla riforma delle banche popolari). L'Esecutivo ha però scelto d'inserire le assunzioni nella legge complessiva sulla scuola e in questo modo ha messo indirettamente pressione sul Parlamento.

Se infatti il Ddl non sarà approvato in tempi brevi, risulterà impossibile siglare i nuovi contratti in tempo per l'inizio del prossimo anno scolastico. Chiunque si opporrà in Aula alla riforma, perciò, correrà il rischio di presentarsi agli occhi degli elettori e dell'Europa come il responsabile di 100mila assunzioni mancate. Vale a dire, "non è un prendere o lasciare", ma vi conviene "prendere", perché "lasciare" può rivelarsi un suicidio politico.

Passiamo ora alla seconda affermazione della Boschi ("è inaccettabile lasciare le cose come sono"). In questo caso siamo di fronte a un vero e proprio cavallo di battaglia. Come sempre, il compito numero uno del ministro delle Riforme è difendere il dirigismo del Capo presentandolo come l'unica possibilità di cambiamento.

E siccome nel vocabolario di questo Esecutivo il verbo "cambiare" è sinonimo di "migliorare", chiunque osi manifestare dissenso è un laido conservatore della Prima Repubblica, un reazionario che zavorra il Paese.

Il sillogismo, ingannevole quanto efficace, è lo stesso per ogni riforma: il rinnovamento è sempre benefico; Renzi è l'unica possibilità di rinnovamento; chi si oppone a Renzi va contro l'interesse dell'Italia. E non abbiamo dubbi che - dopo aver giocato la carta delle assunzioni per imporre la volontà del Governo al Parlamento - la Boschi prima o poi ci ripeterà per l'ennesima volta che "si discute con tutti ma alla fine si decide".

Quanto alla storia della "scuola in mano ai sindacati", sono parole che rivelano un'ostilità a priori nei confronti di chi rappresenta i lavoratori e che sarebbe lecito aspettarsi da un ministro di destra. In tema d'istruzione i sindacati hanno molte responsabilità, anche gravi, ma lasciare intendere che oggi la scuola sia in mano a loro vuol dire non avere la minima idea di quali umiliazioni sia costretto a sopportare un insegnante precario. Oppure, più semplicemente, vuol dire parlare di Buona Scuola in mala fede.

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