di Fabrizio Casari

Settecento morti, forse novecento, sono l’ultimo tragico numero con cui l’Occidente può ritenersi un muro invalicabile. Una ecatombe che trasforma il Canale di Sicilia in un cimitero acquatico disegna un confine di morte che supera le acque territoriali e lo spazio aereo e disegna l’unico confine esistente, quello tra la vita e la morte. Stipati, anzi strizzati, in un barcone di 20-30 metri partito dalla zona est di Tripoli, hanno viaggiato come animali e sono morti come nessuno mai dovrebbe morire.

Altre fonti parlano di 950 persone che si trovavano a bordo dell'imbarcazione, dunque i morti potrebbero essere oltre 900. Ventotto i superstiti. Difficilmente verranno ripescati tutti i corpi, ancor più difficilmente verranno ricordati i nomi. Dal 1996 ad oggi, sono ormai decine di migliaia (quasi seimila dal 2013) i corpi sepolti nel Canale di Sicilia, il braccio di mare che per i dannati della terra dovrebbe separare l’orrore dalla speranza.

L’Africa e il Medio Oriente ci restituiscono con decine di migliaia di corpi di disperati il saccheggio del loro territorio e l’indegno supporto a dittatori sanguinari che combattono con l’orecchio teso alle convenienze delle multinazionali e l’occhio aperto sulle vendette tribali che caratterizza la barbarie del combattere. Da questo inferno di povertà e morte gli esseri umani fuggono.

A secoli di sfruttamento delle sue risorse minerali, si sono aggiunti gli appetiti dei trafficanti di armi e delle compagnie petrolifere. Avvoltoi che hanno trovato il menù preferito nelle decine di migliaia di disperati che per un salario combattono e uccidono  e in altri avvoltoi quelli che organizzano il traffico di esseri umani che dall’inferno provano a fuggire.

Le guerre scatenate in tutto il Maghreb, la formazione di organizzazioni militari come l’Isis che ha alzato ulteriormente il livello della macelleria nordafricana e mediorientale. Dalla Libia alla Siria, dall’Iraq allo Yemen, il risiko geopolitico che garantisce il dominio occidentale sui paesi produttori di petrolio ha trasformato l’intero Medio Oriente e l’area del Golfo in una pozza di sangue, dollari e petrolio. Ma se il petrolio finisce nella disponibilità delle dinastie e degli emiri e i dollari vanno nelle tasche delle multinazionali, i poveri ci mettono il sangue.

E gli innocenti fuggono, perché restare significa morire. Sanno perfettamente che il loro viaggio non è privo di rischi, ma il morire in mare viene considerato meno brutto e più veloce che morire nel deserto. Morire cercando di sopravvivere rappresenta comunque una possibilità, per quanto scarsa, rispetto alla certezza di non sopravvivere.

Le parole di Papa Bergoglio, il miglior Vescovo di Roma in tutta la storia pontificia, rimbombano nel vuoto assoluto della politica che, per definizione, dovrebbe lasciare alla Chiesa il lavoro sulle anime, occupandosi invece lei quello sui corpi. I campioni del cattolicesimo variamente allocati che straparlano quando si tratta di negare i diritti civili, tacciono sui diritti umani.

La politica italiana, a dimostrazione di come il suo livello rasenti ormai il fondo del fondo, è costretta a subire persino l’ascolto delle parole (per modo di dire) di Salvini, un balubba per il quale dobbiamo augurarci possa provare almeno un giorno della sua vita quello che provano tutti i giorni di tutta la vita i migranti.

Ma se quello che esprime Salvini altro non sono che flautolenze del pensiero alla ricerca di voti dei balubba come lui, ben più preoccupante risulta l’incapacità del governo di porre con forza in sede europea il tema dell’assistenza ai migrati.

L’indifferenza di Bruxelles, covo di fanatici funzionari al servizio della grande finanza, non può diventare l’alibi per fermare operazioni come Mare Nostrum. Ci sono modi e forme per far scontare all’Unione Europea il mancato contributo e il mancato rispetto degli impegni assunti in tema di assistenza ai migranti.

A Bruxelles si dovrà dire che o s’impegnano le risorse necessarie all’amministrazione del problema che ha, ovviamente, dimensione europea, oppure saremo noi a ridurre il filtro, a consentire cioè che l’Italia diventi sbarco e terra di passaggio verso i restanti paesi dell’Unione. A questi cialtroni dai colletti bianchi e dalle scarpe nere, che prevedono la libertà assoluta di circolazione per il denaro e il divieto assoluto per gli uomini, non può che essere presentato lo scenario peggiore come scenario unico.

Lungi dal poter pensare che l’Italia possa farsi carico di ricevere e ospitare ogni quantità di migrazione, Roma non può però invocare l’assenza di validi contributi europei per ridurre la presenza umanitaria nelle sue acque territoriali e in quelle di prossimità. L’Italia deve muoversi, Europa o no.

E non è certo con i gulag a cielo aperto come i CIE che potrà essere affrontato il tema dello smistamento dell’accoglienza. Europa o no non possiamo rimanere fermi al limite delle nostre acque a fornire assistenza ai corpi già in mare, ma possiamo e dobbiamo intervenire contro le organizzazioni internazionali degli scafisti ovunque esse si trovino ed operino.

Atteso che non sono nemmeno ipotizzabili politiche preventive e repressive nel fenomeno della migrazione, che riguarda l’intero pianeta, dobbiamo rendere in qualche modo governabile l’immigrazione.

Non solo perché un dovere etico e umanitario, ma proprio perché il tema della salvezza di decine e decine di migliaia di vite umane non può e non deve subire le regole della contabilità. Il valore della vita, l’aiuto ai più deboli e l’assistenza agli innocenti non può essere misurato con la compatibilità dei ragionieri.

E, se proprio si vuole mettere mano alle compatibilità delle risorse finanziarie con quelle dell’animo, si cominci ad indagare quali e quanti sono i costi maggiorati causa corruzione e appalti a “cooperative” nate alla bisogna dalle tasche dei comprimari della politica per riportare le cifre sotto la cifra delle decenza dovuta.



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