di Antonio Rei

Il Def è arrivato e, secondo il mantra del governo, non ci saranno "né tagli alla spesa né aumenti delle tasse". A ben vedere, però, la realtà racconta una storia diversa, il cui finale deve ancora essere scritto. Mercoledì si terrà una riunione della Conferenza Stato-Regioni tutt'altro che semplice per l'Esecutivo, che dovrà stabilire insieme ai governatori come e dove applicare i 2,3 miliardi di tagli alla sanità previsti per il 2015, ovvero oltre il 50% dei 4 miliardi di spending review imposti per quest'anno alle Regioni dall'ultima Legge di Stabilità.

Circa un miliardo e mezzo arriverà dal taglio all’acquisto di beni e servizi e altri risparmi sono attesi da interventi sulla rete ospedaliera e forse anche dalla revisione della spesa farmaceutica. Il premier Matteo Renzi ha parlato di una "razionalizzazione della spesa sanitaria" che dovrebbe articolarsi su due piani: applicazione dei costi standard (con "la famosa siringa che dovrà costare la stessa cifra dalla Lombardia alla Calabria") e riduzione delle poltrone ("vi pare possibile che ci siano Regioni con 7 Province e 22 Asl?").

Questi tagli dovrebbero rientrare nei 7,2 miliardi di riduzioni di spesa previsti in generale per tutto l'apparato pubblico, compresi gli altri enti locali (un miliardo dai Comuni) e i ministeri. Il governo assicura che queste decurtazioni non si tradurranno in aumenti delle tasse locali, ma si tratta di un'affermazione discutibile per almeno due ragioni.

Primo: per evitare che l'anno prossimo scatti una clausola di salvaguardia da 16 miliardi, il governo deve reperirne almeno 10 nel 2015. Per riuscirci non può limitarsi a confermare i tagli già previsti dalla scorsa manovra, ma deve aggiungerne di nuovi, e difficilmente ci riuscirà rimanendo sul terreno della "razionalizzazione" e della riduzione della poltrone. E in generale - anche allungando lo sguardo oltre il 2015 -, è ovvio che la diminuzione dei trasferimenti agli enti locali si tradurrà (com'è già accaduto) in un aumento delle accise da parte di Comuni e Regioni, anche perché gli enti locali devono continuare a combattere contro il patto di Stabilità interno, che impedisce loro d'indebitarsi eccessivamente.

Secondo: il governo non aumenta le tasse, ma intende ricavare altri 2,4 miliardi dalla revisione delle agevolazioni fiscali. Non è chiaro se questa operazione, la cosiddetta "tax expenditure", colpirà solo le imprese o - come pare più probabile - anche le famiglie, ma è evidente che un colpo di falce sulle detrazioni produce un effetto analogo a quello di un aumento delle tasse. L'esecutivo, in ogni caso, promette di ridurre la pressione fiscale sotto il 43%: al 42,9% nel 2015 e al 42,6% nel 2016, in entrambi i casi al netto del bonus Irpef da 80 euro.

Nel frattempo, con un occhio puntato alle prossime elezioni regionali, il governo ha recuperato un tesoretto da 1,6 miliardi di euro aumentando il deficit dal 2,5% al 2,6% del Pil. Risorse che per il momento Renzi tiene in frigorifero, assicurando che la loro destinazione sarà decisa "nelle prossime settimane". I sindacati vorrebbero che a beneficiare delle nuove risorse fossero i pensionati, i disoccupati, e soprattutto gli incapienti, ovvero le persone che guadagnano troppo poco per pagare l'Irpef e che perciò sono rimaste escluse l'anno scorso dal bonus di 80 euro. All'epoca il Premier aveva assicurato un intervento anche nei loro confronti, ma da allora non se n'è più sentito parlare.

Intanto, il governo ha trovato il modo di litigare anche con Confindustria, che si è fatta sentire picchiando duro con il proprio braccio giornalistico.  Il Sole 24 Ore ha scoperto che in uno dei decreti attuativi del Jobs Act è spuntata una clausola di salvaguardia secondo la quale - nel caso in cui si esaurissero i fondi destinati agli incentivi alle assunzioni - le risorse necessarie sarebbero recuperate con un contributo di solidarietà a carico di imprese e lavoratori autonomi.

"Prevedere un aumento dei contributi per tutte le imprese come clausola di salvaguardia dello sconto contributivo per le aziende che stabilizzano i precari supera ogni immaginazione - scrive Fabrizio Forquet sul Sole -. Sembra una boutade, uno sketch di Crozza. E invece qualcuno lo ha scritto davvero nel decreto legislativo sui contratti. Bisognerebbe pretendere il nome di cotanto genio. Di sicuro Renzi interverrà. O no?".  Com'era ovvio, il mea culpa del governo è arrivato a stretto giro: il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha assicurato che "la clausola sarà superata prima dell’ok definitivo al provvedimento".

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