di Alessandro Iacuelli

E' arrivato l'annuncio: Roma candidata ad ospitare le olimpiadi del 2024. Con tanto di profonda enfasi da parte di telegiornali e quotidiani già in edicola. Lo annuncia con altrettanta enfasi Matteo Renzi, in una conferenza stampa con tanto sapore di cerimonia ufficiale per la candidatura. Nessuna enfasi, anzi una totale cancellazione, per la conferenza stampa di un illustre predecessore di Renzi, quel Mario Monti che tutti ricordiamo bene, tenuta il 14 febbraio 2012, quella in cui il presidente del Consiglio dei ministri annunciava il ritiro della candidatura di Roma per le olimpiadi 2020.

Se la memoria non inganna gli italiani, quella stessa memoria seppellita dai telegiornali italiani che in queste ore lanciano servizi su servizi dedicati alle imprese eroiche dell'Olimpiade romana del 1960, appena nel 2012 successe che dopo un’attenta valutazione dei costi e dei benefici legati all’operazione nel suo complesso, il premier Mario Monti decise che “non esistono le condizioni perché il governo offra le garanzie dello Stato alla candidatura per i Giochi”.

Monti spiegò come stanno le cose: “Il Comitato olimpico internazionale richiede al governo del Paese ospitante i Giochi una lettera di garanzia finanziaria... tra le altre cose il governo del Paese ospitante deve farsi carico di ogni eventuale deficit della manifestazione”. Poi sottolineò: “Non possiamo correre rischi”.

Cosa è cambiato da due anni ad ora? In meglio, praticamente nulla. In peggio, abbastanza: altre imprese che hanno chiuso, altri posti di lavoro perduti, altre attività migrate in Cina o nell'Est Europa, crisi galoppante. In questo quadro abbastanza fosco, l'attuale premier Renzi, prendendo troppo a spunto l'idea berlusconiana di mandare avanti l'Italia a suon di spot pubblicitari sulla bravura del governo, inventa questa non nuova idea dei Giochi Olimpici. Soldi da spendere, e perdite cui lo Stato dovrà far fronte, magari attraverso l'IRPEF dei lavoratori dipendenti che devono per forza pagare le tasse.

I precedenti storici parlano chiaro, e spiegano a chiare lettere il perché della scelta di Monti, opposta a quella di Renzi. Atlanta 1996, la prima Olimpiade-flop della storia: voluta dallo sponsor Coca Cola, che però preferì imporla senza investire soldi di tasca propria, realizzata con una copertura finanziaria quasi interamente pubblica (6 dei 7 miliardi di dollari totali); flop totale, con appena 218 milioni di dollari “rientrati” attraverso i diritti TV, e un bilancio profondamente in rosso.

Andiamo avanti di 8 anni: Atene 2004. 8,9 miliardi di euro di spesa, soltanto 1,7 dai privati. Gli introiti derivanti dai diritti TV furono di 1,2 miliardi di Euro, piuttosto pochini rispetto alla spesa, spesa alla quale vanno aggiunti 1,23 miliardi di euro spesi in sistemi di sicurezza, con 45mila uomini impegnati.

L'effetto immediato sull'economia greca, ricorda il Corriere, fu ottimo con un incremento del Pil dello 0,3% e un aumento del turismo sul breve termine. L'onda lunga di quelle spese folli, però, si è fatta sentire dopo pochi anni. La crisi economica della Grecia è nata proprio dalle spese, e dai bilanci truccati, dell'epoca dei Giochi Olimpici, e quella crisi ha travolto l'Europa intera.

Probabilmente, non è un caso se negli ultimi mesi molte città, come Cracovia, Stoccolma, St. Moritz e Monaco hanno rinunciato ad ospitare le Olimpiadi, sia estive sia invernali. Come ha scritto nel maggio scorso il Washington Post, queste città “non vogliono trovarsi nella situazione di Atene, Pechino o Sarajevo, che dopo diversi anni sono ancora piene di rovine inutili e strutture abbandonate che sono costate alle amministrazioni locali moltissimi soldi”.

Le critiche ai grandi eventi, negli ultimi tempi, fioccano abbondantemente da più parti. I grandi eventi non sono necessariamente sportivi, ma tutti richiedono enormi investimenti iniziali sulla base di una speranza, spesso delusa, di un ritorno economico sotto forma di turismo e di “immagine”. In Italia ad esempio Roberto Perotti, professore di economia all’Università Bocconi, ha pubblicato una serie di articoli in cui critica duramente EXPO 2015. Le sue argomentazioni non sono affatto diverse da quelle utilizzate per criticare le Olimpiadi. Scrive Perotti che “il vero problema è che EXPO non avrebbe dovuto esistere. La decisione di intraprenderla è derivata da una ubriacatura retorica collettiva supportata e legittimata da stime economiche azzardate”.

In questo quadro, l'unica voce fuori dal gregge pare essere proprio quella di Renzi che all'improvviso, come un fulmine a ciel sereno, pontifica in diretta TV sul fatto che “l'Italia deve provarci”. Provarci in cosa? Ad ottenere i Giochi Olimpici a Roma nel 2024, fare una marea di gare d'appalto per lavori di realizzazione e manutenzione di impianti sportivi che dopo le Olimpiadi non serviranno più a nulla, a spendere un mare di miliardi di soldi pubblici, perché in Italia i finanziatori privati non sono certo tanto sprovveduti da mettere a rischio i propri capitali in un'impresa più a rischio delle altre.

Un mare di miliardi destinati ad essere accaparrati dai soliti privati che in Italia mangiano e prosperano sulle grandi opere e sulle cattedrali nel deserto. Un mare di miliardi per un'operazione “a tempo”, che terminerà con la fine dei lavori per le Olimpiadi, e non certo in grado di dare sviluppo duraturo all'Italia, alla quale rimarrà solo l'onere delle spese e dei debiti accumulati.

Per cosa, poi? Per dare una parvenza di “grandezza” al Paese, dimostrando che è in grado di ospitare i Giochi Olimpici? Per dare lustro ad un Paese in declino? Probabilmente, anzi certamente, non è di questo che l'Italia ha bisogno. Di sicuro non ha bisogno di fare fin dal 2015 dei debiti che dovranno essere sanati poi dai nostri figli dopo il 2024.

Non è delle Olimpiadi, che l'Italia ha bisogno, ma di ben altro che le dia una speranza di futuro stabile. Matteo Renzi certamente lo sa, non essendo sprovveduto, ma sta garantendo ad una parte privilegiata d'Italia, quella che costruisce strade, edifici, stadi e impianti sportivi, una sopravvivenza che si tradurrà in un futuro appoggio elettorale. Un calcolo politico pericoloso per l'intero Paese, che Renzi non sa salvare.

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