di Giovanna Musilli

Di riformare la scuola si parla da vent’anni, ma ora il volume delle chiacchiere aumenta. “Merito, autonomia e superamento del precariato” sono le nuove linee guida del governo Renzi, che mercoledì si riunirà in Consiglio dei ministri per discutere il nuovo pacchetto di misure da mettere in cantiere. C’è di che sperare, se non altro perché il giovane Premier ha la moglie insegnante di lettere, quindi sarà sicuramente ben informato sul disastro economico e culturale che ha travolto la scuola italiana negli ultimi due decenni. O forse no?

Il primo provvedimento strutturale che ha modificato l’impianto della scuola pubblica italiana (dopo la riforma che sancì la nascita della scuola media unica nel 1962) è stato l’introduzione dell’autonomia scolastica nel 1994. Poi si sono succeduti solo piccoli interventi, quasi tutti senza peso, per lo più accompagnati da mirabolanti annunci,  fino alla cosiddetta riforma Gelmini del 2008, che ha riordinato (cioè complicato) i cicli scolastici e soprattutto ha tagliato otto miliardi d’investimenti pubblici.

Ma torniamo al presente. Dal meeting di Cl il ministro Giannini ha assicurato che “il governo intende eliminare il precariato nella scuola”. Non ha dato dettagli su come ciò potrà avvenire, ma ha  spiegato che le supplenze devono essere riconsiderate, in quanto già dall'inizio dell'anno scolastico si conoscono alla perfezione quali e dove sono i posti da sostituire stabilmente. Meno male, se n’è accorta anche lei.

"C'è un meccanismo perverso che ci trasciniamo da decenni - ha detto la Giannini - che non ci consente di lavorare se non con l'organico di diritto e quindi di riempirlo attraverso le graduatorie. I supplenti non saranno eliminati fisicamente - ha precisato con una battuta (divertentissima..) - bisogna però ragionare in termini di organico funzionale e non di organico di diritto. È l'uovo di Colombo che chi lavora nella scuola conosce da tempo, ma che nessun governo ha avuto il coraggio di affrontare direttamente perché significa prendere coscienza che le supplenze non fanno bene né a chi le fa né a chi le riceve”.

Assai discutibile quest’ultima osservazione: per i precari fare supplenze è meglio che essere disoccupati, e per gli alunni avere un supplente è meglio che non avere nessun docente. In ogni caso il ministro intende porre fine al caos che ogni anno affligge le scuole nel mese di settembre relativamente alle cattedre complete rimaste senza titolare, agli incarichi temporanei che i provveditorati ritardano ad assegnare, ai trasferimenti ancora incerti, agli spezzoni orari che non si sa a chi debbano essere affidati, ai vari congedi e aspettative di cui non si hanno mai notizie certe, alle numerosissime classi (di ogni anno e indirizzo) che spesso rimangono senza insegnanti per giorni e giorni.

L’intento è lodevole: il problema è la strada scelta per raggiungerlo. Con il nuovo “organico funzionale” si  dovrebbe assegnare ad un gruppo di istituti dello stesso grado un certo numero di docenti che tenga conto di tutte le esigenze d’insegnamento e anche delle eventuali supplenze. I docenti dell'organico funzionale, in altre parole, coprirebbero sia le ore di lezione, sia le supplenze (lunghe e brevi).

Ed è proprio questo il nodo che fa tremare i polsi a migliaia di precari. In questo modo, infatti, le graduatorie d’istituto cesserebbero di esistere e 400mila precari sarebbero ufficialmente licenziati in via definitiva dalla scuola. D’altronde, licenziando i precari, si elimina il precariato!

Sul merito dei docenti il ministro è stato chiaro: “Chi fa di più prende più soldi”, è l'idea di fondo dell'Esecutivo. Di per sé non sarebbe sbagliato, visto che in Italia non esiste nessun organo che controlli l’operato dei docenti e che vagli nel corso degli anni le loro competenze disciplinari e didattiche. Il principio liberista del “chi più lavora più guadagna” potrebbe anche innescare un circolo virtuoso di sempre maggior impegno e dedizione al lavoro da parte dei docenti, se applicato con equilibrio e raziocinio. Ma di che mondo parliamo?

Ad oggi, il ruolo educativo degli insegnanti è svilito, se non vituperato dalle istituzioni. Gli stipendi sono bloccati da otto anni e il conflitto d’interessi ha permeato a tal punto la scuola che ogni anno ci sono docenti di ruolo (anche anziani) che temono di diventare “perdenti posto” nella propria scuola, rischiando di essere provvisoriamente assegnati in qualsiasi altra scuola di provincia, carceri comprese.

Ma come riqualificare il lavoro degli insegnanti? Sbloccando gli stipendi (nessuno ne ha ancora parlato), rivalutando pubblicamente l’importanza della loro opera educativa e valorizzandone il merito con equità e giustizia. Il punto è come tutto ciò possa essere concretamente messo in atto. Per esempio, se il lavoro dei docenti venisse in qualsiasi modo vincolato al giudizio della cosiddetta utenza, ossia gli alunni, sarebbe evidentemente una catastrofe. A questo proposito le parole del premier (“le famiglie vanno coinvolte” nell’istruzione dei figli) non sono molto rassicuranti.

Purtroppo l’ottica della scuola/azienda che deve soddisfare l’utente/cliente è evidentemente destinata a trascinare la levatura culturale dell’istruzione pubblica in un abisso senza fine. Se invece “il giudizio dell’utenza” non fosse decisivo, quali sarebbero i criteri di assegnazione degli eventuali bonus agli insegnanti meritevoli? Solo fumo.

I sindacati sono in allarme: "Se rispondono a verità le indiscrezioni di un intervento sugli scatti e di un tentativo di introdurre elementi di meritocrazia al di fuori di un sistema contrattuale - ha anticipato il leader della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo - per noi è inaccettabile".

Per il leader della Cisl scuola, Francesco Scrima, “quando si punta sul lavoro e sulla professionalità bisogna pensare che lo strumento per valorizzare l'impegno è il contratto di lavoro, bisogna quindi puntare al rinnovo del contratto, bloccato da 8 anni”.

A parte il personale della scuola, gli altri due grandi capitoli su cui il provvedimento del Governo si articolerà sono l'autonomia scolastica (difficile peggiorare ulteriormente la situazione), i programmi (speriamo se ne occupino persone colte) e le competenze degli studenti. Anche su questi capitoli siamo ancora nella fase delle dichiarazioni d’intenti.

Intervenuta a Bologna alla Festa dell'Unità, infine, la Giannini ha incassato un boato di disapprovazione quando ha fatto capire che i test Invalsi potrebbero far parte della valutazioni del merito degli studenti anche nella sua riforma.

Questi test sono fallimentari in partenza, perché vengono distribuiti alle scuole campione senza discrimine di posizione geografica, di risorse, di utenza, di integrazione con il territorio. Non ci spingiamo oltre però, perché anche questo provvedimento per adesso è affidato solo alla tradizione orale. Come tutti gli altri.

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