di Rosa Ana De Santis

In attesa di una legge adeguata che renda cittadini i figli di stranieri nati sul territorio italiano, alcuni lo sono diventati per investitura simbolica ed onoraria. L’anno scorso 106 Comuni hanno accettato la proposta di Unicef e Anci e il numero è destinato ad aumentare. Nel 2012 sono stati 80 mila i nuovi nati e cresciuti sul territorio italiano per i quali la cittadinanza a norma di legge rimane un lontano traguardo. Non solo manca un provvedimento, ma latita la stessa volontà politica di affrontare questa emergenza sociale e culturale che lascia nella terra di nessuno persone che diventeranno grandi e costruiranno una vita da italiani a tutti gli effetti.

L’ultima città, in ordine di tempo, ad aver conferito questo titolo onorario è stato L’Aquila. Un segnale simbolico importante, tanto più d’effetto nei giorni funesti in corso in cui viene allo scoperto l’ennesima prova di odiosa cattiva politica italiana fatta di corruzione e sciacallaggio che si è abbattuta sulle macerie di una città terremotata.

L’Unicef va avanti con questa operazione nella speranza che sortisca un effetto di sensibilizzazione verso le Istituzioni addormentate. E’ evidente che l’Italia, ancora al palo con una legge inadeguata ancora prima che xenofoba - la Bossi-Fini - paga un’incapacità di leggere e affrontare con spirito di programmazione e lungo respiro il tema caldissimo dell’immigrazione.

Se tutto è fermo al soccorso sulle sponde di Lampedusa e alla necessità di avere nuovi fondi europei è evidente che ancora una volta è la politica a soccombere sulla gestione di un’emergenza che è destinata a replicarsi infinite volte identica a se stessa. Questa almeno è la scena che ci restituisce la cronaca.

Si può discutere se sia migliore l’opzione tra uno "ius soli" sic et simpliciter o una via di mezzo che preveda un percorso di preparazione e studio per l’acquisizione della cittadinanza.

Peccato che l’ultimo a parlarne nel merito sia stato Gianfranco Fini, un leader ormai latitante dalla scena politica nazionale, beffando la storia e un po’ se stesso per aver titolato con il suo stesso cognome una pagina di giurisprudenza sull’immigrazione che va rivista in toto.

L’auspicio sarebbe che ogni tipo di percorso di integrazione fosse pensato con metodo e competenza. Che non accadesse, come accade, che gli stranieri in rinnovo di permesso di soggiorno fossero obbligati a vedere ore di film documento sulla vita dei condomini e su una specie di filmetto rosa sul vivere italiano. L’integrazione è tema alto e complesso che forse non possono gestire secondini e commissariati.

L’esigenza di un salto di qualità è ormai un imperativo categorico se vogliamo che tra l’Italia che esiste davvero e quella del diritto non ci sia un guado troppo profondo. Un problema di diritti umani che non fa sconti di pena alla stabilità della pacifica vita democratica dentro il cortile di casa nostra. L’Africa e il Sud del mondo, come era Cartagine per i Romani, sono solo a due passi. Loro lo sapevano.

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