di Silvia Mari

L’elezione di Papa Bergoglio rappresenta senza dubbio la quintessenza di una spinta spirituale che ha permesso ad una Chiesa travolta dagli scandali di risollevarsi. Un sonoro schiaffo per le Istituzioni secolari che, al cospetto di un potere per principio conservatore e aldilà della storia, una rivoluzione tanto profonda non osano nemmeno sognarla. Francesco è un papa di rottura. Di rottura nelle pagine della storia perché è papa insieme ad un altro papa, Benedetto XVI.

Di rottura nei simboli, per la sua storia di vocazione e per il Sud del mondo da cui proviene. Rivoluzione per il suo linguaggio: semplice e senza orpelli come le sue visite ufficiali, diretto e “scandaloso”, politico ma non secondo lo stile Wojtyla, il cui impegno era una non dichiarata militanza volta a scardinare il comunismo.

La Repubblica di ieri apriva con la lunga lettera in cui Papa Francesco rispondeva ad Eugenio Scalfari che aveva scritto interrogandosi sulla posizione della Chiesa verso i non credenti, sulla figura del Gesù storico, sul significato del peccato. Dubbi di fede che incontrano ansia di ricerca e forse di consolazione umanissima e nello stesso tempo esigente.

Il Papa ha risposto con una lettera aperta, che arriva al cuore delle questioni. Non ha il ritmo di un documento papale classico, non analizza in termini squisitamente teoretici i dubbi, non ha la solennità dell’Enciclica. E’ la lettera di un uomo che parte dal suo incontro privato con Gesù, che ancora la sua vocazione alla famiglia della Chiesa Cattolica e che riconosce il primato della coscienza. Primato che riguarda tutti: credenti e agnostici. Dio perdona chi segue la propria coscienza, afferma Francesco, chiudendo così ogni spiraglio per chi ritiene che questa sia solo una e nessun’altra.

E’ da qui che parte la possibilità concreta di un tratto di strada comune. Anche per questo Papa Francesco è una novità assoluta. E’ dalle pagine di un quotidiano che annuncia l’urgenza di tornare a suggellare, sul piano del ragionamento e non solo del fare, l’alleanza anche con chi non crede. Ribadisce il legame profondo con il popolo di Israele e il primato dell’arbitrio, anche quando porta al male assoluto come è stato nella tragedia dell’olocausto. E’ li che Dio “salva” la sua bontà e il suo potere ab-solutus.

In prima fila nel denunciare gli scopi immondi della nuova possibile guerra in Medio Oriente, schiera il Vaticano sul fronte pacifista senza mezzi termini, senza l’ambiguità ecumenica vista in precedenti occasioni. Alza la voce, che arriva chiara e forte alle orecchie degli Stranamore vestiti da giustizieri, indicando responsabilità e follia dell’aggressione occidentale alla Siria.

Ma non punta il dito solo sui governi altrui: allo stesso Vaticano ricorda, con tono severo e senza esitazioni, che non esiste il mestiere del religioso o della religiosa, ma esiste la missione. E propone un organo di vigilanza sulle finanze dello Stato vaticano.

Ed infine è il papa che torna a Lampedusa su un’utilitaria qualunque e che chiede ai conventi vuoti di diventare luoghi di accoglienza per i rifugiati e non musei della solitudine e dei patrimoni. Sarà lui a decidere di far pagare l’IMU a quei beni del Vaticano che hanno destinazione d’uso commerciale? Più probabile questo di tanto altro.

Certo è che una rivoluzione copernicana è già iniziata nel mondo della Chiesa e a guardarla bene, proprio attraverso la semplicità attraverso cui Papa Francesco la comunica al mondo, basta pensare alla vicenda del rischio di guerra in Siria, non c’è il trionfo di una scoperta, un salto verso il futuro mascherato di chissà quale progressismo, ma un coraggioso ritorno alla nascita, al Vangelo. L’unico luogo in cui è scritto cosa significhi essere cristiani e cattolici e come si rischi, nessuno escluso, di non esserlo più o di non esserlo mai stati sul serio.

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