di Rosa Ana De Santis

La condanna di Silvio Berlusconi ha fatto il giro dei media europei e il fenomeno del nostro Paese messo sotto scacco su vari fronti da questa sentenza, rappresenta senza dubbio e nostro malgrado un caso paradigmatico culturale prima che politico. Non stupisce la manifestazione di domenica pomeriggio davanti a Palazzo Grazioli dei supporter di Silvio, perché nel manifesto politico del PDL non c’è mai stata traccia di un progetto politico a prescindere dal leader carismatico, ma la venerazione di un uomo di successo e l’inno alla furbizia degli affari facili, non importa il come.

Chi ha votato finora il Cavaliere non lo ha fatto certo per esprimere un’idea politica, ma  per desiderio di omologazione al mito dell’uomo scaltro, sopra le legge, che può tutto in nome del successo economico e finanziario. Quindi i pidiellini sono fan e non elettori di una mozione politica. Ci sono poi coloro che siedono in Parlamento, che governano il Paese in questa miscela posticcia di paratecnici e parapolitici i quali, irresponsabilmente, come Bondi, parlano di guerra civile, si scagliano contro la magistratura avallando un conflitto tra le Istituzioni che farebbe resuscitare Montesquieu dal lontano XVIII secolo.

In qualsiasi altro Paese europeo questo bistrattamento dei pilastri della democrazia non avrebbe avuto luogo, non pubblicamente almeno, non in faccia alla nazione, non riducendo le Istituzioni a cori di stadio per le strade: una modalità che se è indecorosa per i Cinque Stelle, non lo è di meno (anzi è più grottesca ancora) se riguarda le signore Santanchè di turno.

Non va meglio per un governo che vuole stare in piedi a tutti i costi spartendo leggi e provvedimenti con gli adepti innamorati del proprio leader evasore e condannato. Come può il PD pensare di sopravvivere a questo patto con il diavolo, l’ennesimo, è un’incognita o forse l’overture di una Caporetto annunciata e solo rimandata a dopo l’estate.

L’emergenza economica in cui versa l’Italia non può sperare di trovare ricette in un Parlamento che non sceglierà più, è evidente, la strada delle intese - ammesso che l’abbia fatto finora - ma quella del braccio di ferro come estrema infinita arringa in nome di Silvio. Il PD avrebbe dovuto anticipare Berlusconi,invece di confidare in una sua esagerazione eversiva. Il cavaliere, che è maestro di tattica, ha invece restituito tutta la responsabilità al governicchio di Letta che ora rischia di essere messo sotto scacco da un Pdl che chiederà di riscuotere la sua agenda di governo e di cannibalizzare tutte le riforme per fare resuscitare Berlusconi il terzo giorno con tutti gli onori del caso e della legge".

Ancora una volta è il Cavaliere il protagonista di un caso che oltre le Alpi desta stupore. Lì dove i ministri si dimettono per poco e niente, quasi in un eccesso zelo calvinista. Lì dove il fresco caso Kyenge fa indignare e sconvolge come un rigurgito di passato remoto che quasi ovunque è stato superato e non tollerato nelle stanze delle Istituzioni.

Alla prossima visita di Obama il nostro governo spiegherà come mai un Calderoli sia rimasto degno di essere Vice Presidente del Senato della Repubblica, come mai il capo di un partito xenofobo sia accolto nelle sedi istituzionali e come mai si cerchi disperatamente di tenere insieme un governo fatto con i seguaci di un condannato. Come si possa benedire questo scempio istituzionale e lanciare parole sulla legalità, sul valore dell’Europa che ci costa lacrime e sangue e molto ancora.

Certo è che ancora una volta, all’apice della sua sconfitta, Berlusconi non muore ma fa morire i suoi avversari, mettendone in luce l’inconsistenza e la paura. E mentre il PDL non ha nulla da ricostruire perché l’illegalità non è mai stata percepita come impedimento alla dignità dell’istituzione (dalla corruzione alla prostituzione), il Pd ha tutto da rifare e la partita va ben oltre la prossima tornata elettorale. Si tratta dell’Italia, alla deriva dell’Europa.


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